17 ottobre 2006

SETTIMO PIANO

Quando sei bambino hai la testa di vetro.
Credi di avere pensieri tuoi, che nessuno sappia che cosa ti si agita dentro. Ma non è così. Quello che pensi, quello che provi quasi sempre i tuoi genitori te lo leggono in faccia. Non possono cambiarli, questo no, ma li conoscono. E la stessa cosa vale per quello che fai. Credi, al parco con gli amici, di vivere avventure incredibili ma loro ti osservano. Credi che loro non si accorgano che ogni tanto mangi di nascosto qualcuna delle caramelle nella credenza. Ma la verità è che il tuo mondo è una specie di prigione di cristallo dai margini invisibili. Il prezzo della protezione che loro ti offrono (a cui ti costringono) è l’infrangibilità delle loro regole, la tua impotenza al fare.
Dopo, con l’adolescenza, le cose si allentano a poco a poco. Probabilmente sanno che fumi qualche sigaretta di nascosto, il fumo ti rimane attaccato ai vestiti e tu gli dici che è il fumo di altri. Gli basterebbe guardarti nel cassetto per rivelare il tuo segreto, ma non è detto che lo facciano. E’ lo stesso gioco delle parti di un tempo, ha solo assunto un sembiante diverso. Prima eri tu che fingevi di fare le cose, dopo sono i tuoi genitori a fingere di non vedere.
Ad un certo punto, quasi di colpo, ti trovi dall’altra parte. Magari finisci a fare il professore e ti accorgi che, da alunno, il tuo copiare di nascosto era soltanto un teatrino. Vedi chiaramente i tuoi studenti ripetere i tuoi gesti di allora, e capisci che in realtà i tuoi professori fingevano soltanto di non vederti. Allo stesso modo in cui tu richiami soltanto una piccola parte di coloro che nella loro disobbedienza sono più plateali. Non devono capire che ciò che pare proibito è in realtà tollerato.
In molti suoi aspetti questo gioco te lo porti dietro tutta la vita, in tutti i tuoi rapporti umani. Fingi di non vedere quello che ti è sotto al naso. O magari semplicemente eviti di andare alla ricerca di una verità scomoda che pure si ti si offrirebbe con un minimo sforzo.
Alla fin fine l’unica verità è che molto spesso, semplicemente, non vuoi sapere.
Ti ritrovi genitore e sai benissimo che è tua figlia a far sparire i rotoli di carta igienica per prendere il cartone che sta al centro. Lei nega e tu fingi di crederle. In sé è una cosa innocua, e poi non puoi impedirle di fare tutto. Anche tu come i tuoi genitori hai iniziato a fingere di non vedere, questa come mille altre cose.

Poi nasce il tuo secondo figlio.
Tua figlia ha quattro anni e non vuole dividere con lui le tue attenzioni. Un giorno ti arrabbi molto perché mentre il fratellino è nel suo box lei gli fa esplodere un palloncino vicino all’orecchio. Per te è un rimprovero come tanti altri, banale, magari solo un po’ esacerbato dalla rabbia per i tuoi guai al lavoro. Ma quello che sente tua figlia è diverso. Non le pare che tu l’abbia mai sgridata a quel modo e pensa che se vuole avere ancora il tuo amore, anche lei deve amare suo fratello.
Comincia a stare sempre con lui, ad accudirlo come una seconda piccola madre. Sarebbe una cosa bellissima, quasi commuovente, se non fosse che finge. Tu lo sai, glielo leggi in faccia che ora lei lo odia anche di più perché si sente costretta ad amarlo.
Ma non puoi farci nulla. Provi a spiegarle che è soltanto un momento. Che lui non avrà sempre bisogno di tante attenzioni, che quando sarà un po’ più grande insieme si divertiranno un mondo. Lei dice di sì, dice che non capisce perché glielo ripeti così spesso visto il bene che lei ora gli vuole… visto che gli sta sempre appresso… che sta sempre con lui. Non riesci a penetrare la sua corazza. Lei pensa di fingere bene, e tu ti illudi che forse un giorno o l’altro la finzione diverrà semplicemente realtà. Come se questo potesse avvenire con un semplice schiocco di dita.
La verità è che la capisci anche, in un certo senso, è stato così anche per te quando eri bambino, finché tuo fratello non è morto.
Aveva tre anni quando è caduto, tu quasi nove. E’ successo dalla finestra del tinello di quella stessa casa. C’eri anche tu nella stanza, anche se non ricordi praticamente nulla. C’era quel davanzale basso e lui c’era sopra e tu lì vicino. Poi lui era giù.
Sette piani.
Dopo i tuoi genitori hanno voluto andarsene da lì. Troppi ricordi, troppo dolore. Hanno comprato un’altra casa e quella l’hanno affittata. Ci sei tornato a vivere tu con tua moglie quando è nato il secondo figlio. Ti ha fatto uno strano effetto i primi giorni. Non c’eri più tornato, ti pareva di ricordarla appena e invece hai scoperto di riuscire a rilevare ogni singolo dettaglio cambiato.
Ma è passato tanto tempo, sembra quasi la vita di un altro.

Poi accade. Nel tinello. Un giorno qualunque, oggi.
Il fratellino è sul seggiolone. E’ agitato, vorrebbe scendere, tu sei andato in bagno un istante. Tua moglie è uscita. Entrando nella stanza vedi distintamente che è tua figlia ad averlo aiutato ad uscire dal seggiolone, a farlo cadere. Lo ha fatto apposta.
Tuo figlio è a terra. E’ caduto all’indietro, di schiena. E’ rimasto senza fiato. Corri da lui, lo sollevi tra le braccia, comincia a piangere disperatamente. Non è successo nulla, solo una botta.
Non è successo nulla di grave.
Nulla di grave.
Ti volti verso tua figlia. Lei ti guarda con occhi spaventati. La sua paura non è per quello che è successo, non è per la salute del fratello: è perché non sa se tu l’hai vista spingerlo oppure no. “E’ caduto.” Mormora sull’orlo delle lacrime: “E’ caduto da solo.” Ripete.
Lo fa per convincere te, ma anche sé stessa. Di colpo ha orrore di quello che ha fatto, o forse solo delle conseguenze.
E tu non sai che fare. Vorresti poterle credere, davvero. Vorresti non avere visto. Ma hai visto.
Ti giri, guardi il tuo viso riflesso nella specchiera e d’improvviso il tuo mondo crolla. Il tuo sguardo… il tuo sguardo è lo stesso che aveva tua madre quando tuo fratello è caduto dalla finestra.
Col passare degli anni il ricordo si è confuso, è sfumato. Hai dimenticato o forse solo finto. Persino tu ti sei convinto che sia stato soltanto un incidente, ma lei… tua madre… lo ha sempre saputo.
E ora che il calderone si è scoperchiato anch’io sono tornato. Pensavi di avermi cacciato… non ti ricordavi nemmeno che ero esistito. Ma io ero sempre qui, nascosto nella parte più remota del tuo essere. Sono stato con te tutto il tempo. Ti ha fatto comodo fingere che fossi stato io, non è vero? Ma non è così. O almeno… non da solo. Sono stato io sì, ma anche tu.
Siamo stati noi, insieme e lei, nostra madre, lo ha sempre saputo.
Lo abbiamo spinto giù, perchè lo odiavamo.
E lo abbiamo fatto insieme perché siamo indivisibili.
E ora guarda: dalla finestra occhieggia un riquadro di cielo terso del tutto simile a quel giorno lontano. E’ il momento di regolare i conti. L’infante l’hai già in braccio, la bambina non ti sarà difficile prenderla per mano.
E’ il giudizio di Dio, la nostra ordalia. Ci aiuterà a capire. Non se siamo colpevoli o meno, perché lo siamo, ma almeno se possiamo essere perdonati.
Sette piani.
Se saremo forti, se smetteremo di odiare, forse tutti e quattro insieme riusciremo a volare.

AUTORE - MAX

11 ottobre 2006

LA NONNINA

Alla piccola Rosi, dalle lunghe treccine, hanno sempre detto che la nonna era molto stanca che stava poco bene. Le è sempre stato tassativamente vietato di salire al secondo piano della casa, dove giaceva nel suo lettone la nonna. Tutte le sere i genitori di Rosi le portavano da mangiare, salendo lentamente quegl'interminabili scalini scricchiolanti. La piccola Rosi non l'aveva mai vista ma la sentiva canterellare una ninna nanna, con quella vocetta soffocata che tanto la spaventava.
Ogni qualvolta che i suoi genitori le intimavano di non salire, questi assumevano un'espressione severa. Non volevano in alcuna maniera che si spingesse al secondo piano, nella cameretta della nonna.

La prima occasione Rosi non se la fece sfuggire. Con quell'incoscienza che è di tutti i bambini di cinque anni, sali' di sopra mentre i genitori erano occupati in altre faccende. Fece gli scalini uno ad uno aggrappata alla ringhiera, e percorse il corridoio in penombra con passettini felpati senza farsi sentire. Si arrestò dinanzi ad una porta robusta, da cui proveniva nitida una cantilena infantile.
D'improvviso la vocetta la chiamò per nome. La bambina sorridente girò la maniglia ed entrò dentro. In mezzo alla cameretta ben arredata, legata al lettone con delle cinghie c'era la nonna. Solo le braccia le era consentito di muovere. Oscillando perennemente la mandibola come in una sorta di rito, era intenta a fissare la nipotina, con quei suoi occhioni vuoti . Era per quella malattia debilitante che la costringeva all'immobilità da molto tempo che la sua faccia si contorceva in maniera tanto buffa. Appoggiata su un mobiletto lì a fianco, una bamboletta nera infilzata da una miriade di spilli.
La nonna a stento cercò di allungare la mano raggrinzita in direzione di Rosi, chiamandola a sé, e contemporaneamente iniziò ad intonare la stessa ninna nanna di prima. La bambina non più di tanto sorpresa, fece qualche passo in avanti continuando a sorridere. Accostò la sua manina su quella della nonna che gliela strinse forte, molto forte.
La nonna con un sussulto si alzò dal lettone strappando le cinghie, afferrando violentemente Rosi per i capelli e trascinandola a sé, verso le sue labbra violacee. La bambina non ebbe il tempo di strillare che rimase succube del bacio crudele della nonna.
La porta si chiuse pesantemente alle loro spalle.

Un silenzio assoluto pervase i muri di tutta la casa che era abituata ad ascoltare le voci di due generazioni diverse ma che in futuro sarebbero divenute un tutt'uno.

La porta si aprì lentamente e Rosi uscì fuori. La mandibola le tremava vistosamente come se avesse un tic, ma ciò non le impedì di canterellare la sua ninna nanna. In grembo teneva la bambola nera priva di tutti gli spilli, mentre alle spalle si scorgeva il corpo senza vita della nonna.

AUTORE - CHRISTIAN MARCHI

09 ottobre 2006

XOMEGAP - ANTOLOGIA

Lo staff di XOMEGAP è stato invitato a partecipare al seminario

IL FENOMENO DELLE ANTOLOGIE
Da Gioventù cannibale a The dark side attraversando Gli intemperanti e Semi di fico d'India

BOLOGNA - 24 OTTOBRE 2006 - h18 Mel Bookstore, Via Rizzoli 18

Qui di seguito il link del seminario
IL FENOMENO DELLE ANTOLOGIE

e il link della nostra intervista se qualcuno vuole lasciare commenti! ;-)
IL FENOMENO DELLE ANTOLOGIE - BREVE DI XOMEGAP

03 ottobre 2006

FUTURO IMPERFETTO

Joe sapeva che quella non sarebbe stata una buona giornata. Lo aveva capito non appena il suo piede si era appoggiato sulla stuoia di pelo che teneva affianco al letto e la sua intuizione fu confermata nell’attimo in cui, varcata la soglia della cucina, posò i suoi occhi su Trome.
Il paffuto ragazzetto dai biondi capelli ricci tagliati a caschetto era intento a leggere il giornale.
“Che hai combinato questa volta?” domandò Trome facendo riecheggiare nella stanza il rumore della carta di giornale accartocciata dalla frenetica stretta delle sue mani.
Joe voleva scappare ma ormai era troppo tardi. Le azzurre pupille del giovane lo fissavano con intransigenza. Il volto rosso dalla rabbia.
“Io?! Niente di male suppongo.”
“Niente di male dici?! Forse allora sarà meglio che tu legga il giornale” sentenziò Trome spingendo il quotidiano verso il suo interlocutore.
“Esattamente pagina dieci e la prima pagina locale”
Il TalCual era un giornale nazionale indipendente del Venezuela. Come Joe sapeva Trome adorava i giornali indipendenti sostenendo fossero maggiormente in linea con la sua essenza.
L’articolo principale della pagina dieci parlava di un grosso disguido all’aeroporto italiano di Linate. A causa di un guasto al sistema di controllo tutti i voli internazionali in partenza erano stati sospesi mentre quelli in arrivo erano stati dirottati presso l’aeroporto internazionale di Ciampino. Dalle prime notizie il guasto avvenuto intorno alle diciassette sembrerebbe esser stato causato da un virus informatico introdotto nel sistema da una postazione interna allo stesso aeroporto.
Un sorriso di soddisfazione percorse il volto di Joe.
“Questo pirata informatico è stato veramente bravo.” affermò Joe sfogliando il giornale in cerca della pagina locale.
“Leggi pure anche l’altro articolo” disse con aria di sfida Trome alzando un sopracciglio nel tentativo di guardare ancor più di sbieco l’alto e robusto giovane.
“Vediamo: Caracas. Guardia giurata in preda a follia amorosa spara al suo rivale.
Ieri notte in un appartamento sulla riviera di Caracas F.C. 40 anni broker finanziario italiano è stato ferito da un colpo di pistola esploso da J.M. 25 anni di professione guardia giurata. Sembrerebbe che J.M. fosse venuto a conoscenza che la donna con cui conviveva avesse da tempo una relazione con il businessman italiano. Sentendo lo sparo i vicini hanno chiamato la polizia che, intervenuta sul luogo dell’incidente, ha trovato F.C. riverso a terra. Subito è stata chiamata l’ambulanza che ha ricoverato l’uomo nel reparto di chirurgia. Le condizioni di F.C. non sono state ancora rese note ma fonti non ufficiali affermano che l’uomo stia ancora combattendo una strenua lotta contro la morte.”
Silenzio. Una goccia di sudore si fa strada lungo la tempia di Joe.
“Ero convinto che sarebbe morto. Scusami Trome.”
“Allora vedi che non capisci un tubo!” sbraitò il ragazzetto
“Per fortuna che è ancora vivo! Pensa il casino che sarebbe successo se fosse morto!”
Joe rimase stupito da quella affermazione.
“Ma non mi hai detto tu di occuparmi della questione?!”
Trome si lasciò scivolare, impotente, dalla sedia.
“Non ho ancora capito se sei davvero imbecille o se semplicemente hai un buco nero nel cervello. Io ti avevo detto di fare tutt’altra cosa. Hai ancora il post-hitt che ti ho dato l’altra sera?”
Joe si frugò nelle tasche e oltre a tirarne fuori scontrini, centesimi, chiavi e carte argentate di chewingum estrasse anche una pallina di carta gialla. Ripristinandone la forma meglio che poté Joe la mostrò a Trome.
“Bravo almeno abbiamo la prova della tua deficienza. Leggi ora per favore”
“Allora…” iniziò Joe schiarendosi la voce nel tentativo di nascondere l’emozione.
In quel momento si sentì come se fosse ritornato sui banchi di scuola, quando la maestra ti chiama per l’interrogazione e tu sai di non sapere assolutamente nulla di ciò che ti chiederà.
“Prima vai in Italia assicurati che siano in aereoporto poi vai a Caracas
IMPORTANTISSIMO ore 17 italia bloccare aeroporto Caracas”
“Bene. Adesso rileggilo con la punteggiatura.”
“Prima vai in Italia: assicurati che siano in aereoporto. Poi vai a Caracas.
IMPORTANTISSIMO: Ore 17 italia; bloccare aeroporto Caracas”
Joe, perplesso, non riusciva proprio a capire che differenza ci fosse da quello letto in precedenza.
“Te lo ripeterò con parole semplici in modo che tu possa capire finalmente ciò che hai letto.
Dovevi assicurati che i due fossero all’aereoporto dopo di che saresti dovuto andare a Caracas.
Una volta a Caracas avresti dovuto introdurre il virus nel sistema dell’aereoporto alle diciassette orario Italiano. Questo avrebbe fatto si che il nostro amico broker fosse già in volo. Che la nostra amata coppia arrivasse a Caracas con un paio di ore di ritardo ma comunque nei tempi stabiliti e che la buona guardia giurata uccidesse, carica d’ira per l’attesa, le persone sbagliate!”
Joe bianco come uno straccio deglutì rumorosamente.
“Ora mi ritrovo a dover fare gli straordinari e sai quanto odio doverli fare.”
“Scusami Trome non pensavo di…”
“Questo è il punto Joe: non pensi. Mi chiedo come mai fra tutti quelli che hanno fatto richiesta di venire a lavorare per me abbiano mandato proprio te. Certo che sono dei gran burloni quelli dei piani alti. Giuro che alla prossima riunione mi farò sentire” affermò Trome prima di prendere una lunga sorsata di latte dal suo bicchiere.
“Come risolvo la cosa adesso?” domandò Joe mortificato.
“Risolvere la cosa tu? Sei impazzito!” esclamò il giovane mettendo in mostra due spessi baffi di latte
“ Ci penserò io a sistemare tutto. Tu occupati di scrivere gli incarichi sul libro mastro e cambia il modo in cui quei tre periranno. Metti…incidente aereo.”
“Ma non erano due”
“In verità sono tre. Lei è incinta e quello spirito che porta in grembo non deve vedere luce per un altro secolo.”
Trome lasciò la cucina e quando uscì di casa il suo corpo non era più quello di un bambino rubicondo ma quello di un giovane dai lunghi capelli che stringeva forte nella mano la lunga asta della falce mietitrice di vite.

AUTORE - SIMONE