Io mi chiamo Loris e qui a San Bernardino conosco tutti.
Io ci sono nato, a San Bernardino, per questo lo conosco così bene, perché sono un sacco d’anni che vivo qui.
Mia madre diceva sempre, prima di andare in paradiso, che io ero speciale.
Me l’ha detto Don Giustino che mia madre è andata in paradiso, quel giorno che tutti si sono vestiti di nero e che si è fatta la processione dalla chiesa fino al camposanto. Anche a me avevano fatto mettere un vestito nero, era quello buono, quello della domenica, ma me l’hanno fatto mettere lo stesso, anche se non era domenica e non era neppure la festa della Madonna del Carmine.
Anche Don Giustino quel giorno mi ha detto che io ero speciale. Mi ha detto che sono una persona buona.
Io non credo di essere una persona buona. Mi arrabbio spesso io.
Mi arrabbio soprattutto quando mi chiamano “scemo” e quando mi arrabbio mi scappano dette le bestemmie che diceva sempre il babbo. Anche lui si arrabbiava. Ma quando si arrabbiava lui era peggio. Perché lui si toglieva la cinghia e mi correva dietro.
Io non mi sono mai tolto la cinghia.
A San Bernardino mi conoscono tutti anche perché faccio un sacco di lavori.
Io mi sveglio presto la mattina, sono abituato, perché il babbo mi veniva a svegliare quando il gallo cantava, che certe mattine d’inverno c’era ancora buio fuori e la nebbia non faceva vedere niente.
Appena sveglio vado da Rino, che ha l’edicola davanti alla chiesa, e lo aiuto con i pacchi di giornali vecchi. Che quelli che gli portano quelli nuovi ce li prendono indietro quelli che non ha venduto. Però bisogna impacchettarglieli, perché loro son gentili che li riprendono, però non si mettono mica lì a far su i cartoni. Allora, visto che a quell’ora non c’è nessuno lo aiuto io Rino a far su i cartoni.
Sono un uomo forte io. Perché ho sempre lavorato.
Poi alle sei e mezza vado da Luigi, che fa il pane nel forno dietro alla via della fontana, che se giri giù al semaforo lo vedi subito e lo senti perché c’è sempre un profumo di pane buono buono che ti fa venire fame.
Luigi lo aiuto perché porto i sacchetti del pane alle signore che non possono venire a prenderselo loro. Perché sono vecchie. E perché secondo me gli piace anche fare le signore e farsi servire.
Io e Luigi lo diciamo sempre. Che le donne si fanno trattare come delle regine.
Se porto i sacchetti alla fine quando torno Luigi ne prepara sempre uno anche per me. Mi piace un sacco mangiarlo quando è ancora caldo e ti scotti quasi le dita, perchè ha un sapore che se si raffredda scappa via e non riesci più a sentirlo. Allora mi siedo sulla panchina fuori dal negozio di Luigi e me lo mangio in fretta prima che si raffreddi.
A mezzogiorno ho l’appuntamento davanti alla scuola.
Controllo i bambini che escono, che non si facciano mica mettere sotto dalle macchine. Perché la strada ci passa proprio davanti al cancello della scuola e quando i bambini escono le macchine bisogna fermarle per farli passare.
Il comune ha detto che San Bernardino è un paese troppo piccolo per avere un vigile tutto suo, che ce lo può mandare solo ogni tanto, allora quando non viene il vigile del comune ci vado io a far attraversare i bambini. Non ho mica studiato per fare il vigile, e non ho neanche la paletta rossa che c’hanno loro, però le macchine si fermano lo stesso quando sto sulle strisce con le braccia aperte, e così posso far passare i bambini.
Se non ci fossi io i bambini non riuscirebbero a passare. Perché non ce l’hanno mica tutti la mamma o la nonna che li viene a prendere. Ci sono anche quelli che vanno a casa da soli. E a quelli ci penso io.
Poi al pomeriggio vado in giro, perché ho un sacco di persone che devo salutare. C’è la Tina, la parrucchiera, che ogni tanto mi fa sedere sulla sua poltrona strana con il lavandino e mi taglia i capelli, poi c’è la Netta, che ha il negozio di fiori, che tutti la chiamano Netta anche se i suoi c’avevano messo un altro nome più lungo che però ormai nessuno se lo ricorda, che diventa ogni giorno più secca e più grigia però sorride sempre.
E poi i bambini del doposcuola all’oratorio che d’estate giocano fuori e io mangio il gelato con loro.
Alla sera, quando i negozi stanno per chiudere, io mi fermo sempre ad aiutare a mettere dentro le cassette e a pulire.
E’ un altro dei miei lavori. Io faccio un sacco di lavori.
E’ per quello che conosco tutti a San Bernardino.
Dopo cena torno ad uscire perché da solo in casa mi annoio, in casa ci dormo e basta.
In inverno vado al bar, dove ci sono Guido e tutti gli altri di San Bernardino. E si parla di tutto, del calcio, di donne, dei politici. E tutti parlano e tutti ascoltano e si sta bene, in compagnia.
D’estate invece si sta fuori perché c’è caldo e fuori non ci vengono solo gli uomini ma anche le loro mogli e i bambini. Che in inverno hanno la scuola e quindi non escono mica.
In estate a San Bernardino ci sono le sagre e da qualche anno quelli del comune organizzano un sacco di feste, quindi c’è sempre un sacco di gente, tanti forestieri anche, che vengono fin qui.
Ieri sera dentro al cortile della villa c’era un concerto.
Hanno messo tutte le sedie di plastica in fila davanti ad un palco e poi hanno messo su un sacco di luci e di fili neri che correvano tutti attorno ai muri del cortile.
C’erano un sacco di forestieri che non avevo mai visto, delle belle signore e anche delle ragazze giovani. E si sono tutti messi a sedere sulle sedie di plastica guardando il palco vuoto.
Poi è venuto buio e sul palco hanno portato una cosa che non avevo mai visto.
La maestra Giulia mi ha spiegato che era uno strumento musicale e che si chiamava “arpa”. In effetti che suonava lo avevo capito da solo, perché aveva le corde come le chitarre. Però era molto più grande di una chitarra e aveva una forma strana.
Poi è arrivata questa signora con i capelli lunghi e biondi e con una gonna azzurra lunga che toccava fino a terra.
Si è messa a sedere e aveva un sorriso bellissimo. Ha cominciato a parlare e diceva le parole in modo strano, pronunciandole mica tutte bene, però si capiva lo stesso quello che diceva.
La maestra Giulia mi ha preso da una parte e mi ha detto che dovevo stare fermo e zitto e che non dovevo disturbare.
Però a me non piace quando mi dicono quello che devo fare allora sono andato vicino al palco per vedere meglio la signora bionda.
E lei ha cominciato a toccare le corde della sua arpa e il suono che faceva era bello e non avevo mai sentito una musica così.
Ma la cosa più bella è stata quando ha cominciato a cantare. Che aveva una voce che sembrava un uccellino. Cantava delle parole che io non riuscivo a capire, forse di un’altra lingua.
Quando ha finito di cantare le canzoni l’ho aiutata io a scendere dal palco e lei mi ha strinto la mano e mi ha sorriso.
Stamattina ho raccontato a Rino e a Luigi che sono andato a sentire la signora con i capelli biondi che cantava come un uccellino. Anche loro l’hanno sentita e anche a loro è piaciuta tanto, però solo a me mi ha strinto la mano e mi ha sorriso. E loro mi hanno detto che sono stato fortunato.
E’ quasi mezzogiorno e vado dai bambini fuori dalla scuola così lo racconto anche a loro, perché loro non c’erano mica ieri sera a sentirla.
C’è un caldo serpente a dover rimanere qui fermi sotto al sole per aspettare i bambini, bròt mand bòia, però bisogna che ci resti perché il comune non ce lo manda neanche d’estate il vigile.
Si sente il suono della campanella; eccoli che arrivano.
- Ciao Gionatan! Ciao Andrea! Lo sapete che ieri sera sono andato a sentire una signora che suonava e cantava come un uccellino? -
Non mi sentono, sono ancora troppo lontani, adesso gli vado incontro – Andrea! Sono qui! –
……
Apro gli occhi e vedo che ci sono tante facce sopra di me.
Ho sentito un rumore forte, tipo quello che fanno le gomme delle macchine quando i ragastàs fanno casino nei parcheggi.
Sono per terra. Devo essere caduto.
Ci sono le mamme dei bambini qui attorno a me.
C’è la mamma della Martina e anche la mamma della Serena. Ma hanno delle facce tristi tristi. Provo a sorriderci però sembra che non mi vedano.
Muovono la bocca ma non riesco a sentire quello che dicono. E’ stata la sgommata di prima che mi ha rintronato.
Forse credono che mi sono fatto male. Adesso mi alzo così gli faccio vedere che sto bene.
Ecco, adesso però dobbiamo toglierci dalla strada perché sennò poi le macchine non passano.
Mi giro ma vedo che se ne stanno tutti ancora lì fermi imbambolati a guardare per terra. Ma cosa stanno guardando? Ohi gente!
Mi avvicino e vedo che c’è un tipo sdraiato per terra. Ha la testa girata in modo strano e c’è un sacco di sangue per terra che sembra quando sgozzano il porco.
- Povero Loris -
- L’era ‘csè brèv –
Adesso ci sento di nuovo. Ma perché mi dicono povero?
Guardo di nuovo il tizio per terra. Ha la maglia uguale alla mia, e anche i pantaloni uguali ai miei.
Non ci capisco più niente.
Poi sento la musica della signora bionda, la musica che faceva con l’arpa. Mi giro a vedere dov’è ma non la trovo. E dire che la sua arpa è grossa e dovrebbe vedersi bene.
Poi sento che mi tirano una manica. Finalmente qualcuno che si è accorto di me.
E’ la signora bionda di ieri sera!
- Vieni Loris. E’ ora di andare -
Andare dove? Devo pensare ai bambini.
- Ci penseranno gli altri per oggi Loris, vieni con me -
Mi giro per salutare tutti ma vedo che sono ancora in mezzo alla strada. Alcune mamme piangono. Si vede che il tipo per terra sta male e a loro dispiace per lui. Anch’io vorrei rimanere ma la signora bionda continua a tirarmi e devo seguirla.
E poi all’improvviso mi sento così stanco.
AUTORE - SARA