RACCONTO PAROLE DIGITALI

COME FUNZIONA:

La nostra idea generale è quella di creare da due a quattro linee narrative diversificando il più possibile le storie, sia come tono che come ambientazione. Probabilmente, se qualcuno ce le proporrà, sceglieremo almeno una linea narrativa umoristica, una più improntata alla magia e un’altra con un tono più realistico. 
Ogni 10 giorni in questa pagina verrà pubblicato il capitolo scritto dai partecipanti e le indicazioni per proseguire la narrazione compresa la data di scadenza per l'invio del testo (per il regolamento si veda la pagina CONCORSO Parole Digitali)
Gli spunti che troverete scritti in corsivo sono solo un modo per farvi riflettere sulla varietà di sviluppi che può avere una storia nonostante i vincoli da noi fissati: ci aspettiamo che ci stupiate con risvolti inaspettati. 
L’unica cosa importante è che cerchiate di conservare il più possibile la logica della linea narrativa alla quale vi agganciate e il suo tono generale. 
Sceglieremo i capitoli sia in virtù di quanto essi siano originali e ben scritti ma anche in virtù di quanto meglio si adatteranno ad essere il seguito dei capitoli già pubblicati.

Buona lettura e scrittura  a tutti! ;-)
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PROLOGO

La porta della locanda del Cinghiale Rannicchiato si aprì facendo entrare uno scroscio di pioggia.
Un lampo nel cielo nero delineò la sagoma di un gobbo incappucciato, ma nessuno degli astanti si voltò per guardarlo. 
Fox, l’oste, dopo avergli gettato un’occhiata prese dallo scaffale un boccale vuoto e lo riempì di sidro.
Il gobbo si arrampicò non senza difficoltà sullo sgabello e subito agguantò il boccale, sorbendone una lunga sorsata.
“Baldo, cosa ti ha costretto a uscire con questo tempo dannato?” Chiese l’oste al nuovo arrivato.
“Puah, ordini dal capo, cos’altro?”
“Dev’essere una faccenda grave” Fox scrutò il volto arcigno del gobbo dietro l’ombra proiettata dal cappuccio.
Baldo bevve un altro lungo sorso di sidro e biascicò qualcosa di incomprensibile, poi si chinò in avanti, sul bancone, facendo cenno all’oste di avvicinarsi.
“Mi servono degli uomini per una missione delicata. Chi c’è di libero?” sussurrò il gobbo.
“Caschi male, amico mio” rispose Fox. “A nord c’è la guerra con i goblin e i tesori di quelle bestiacce hanno attirato quasi tutti gli avventurieri in circolazione. Però forse qualcuno è rimasto, fammi guardare.”
L’oste raddrizzò le spalle, strizzando gli occhi e girando lo sguardo per la sala fumosa.
“Accanto al camino c’è Zena con quel bellimbusto del suo amico Solfa. L’elfa ha un caratteraccio, ma è veloce come una dannata serpe. Lui è un perfetto idiota, ma se c’è da sedurre qualche signora potrebbe rivelarsi utile.”
“Una guerriera elfa e un bardo” riflettè Baldo fissando il liquido rimasto nel boccale. “Bah, è pur sempre un inizio. Chi altro?”
L’oste rimase in silenzio per qualche istante, scrutando gli avventori.
“Sotto a una di quella panca dovresti trovare Prego, non mi pare di averlo visto uscire.”
“Il chierico ubriacone?” Baldo alzò il volto verso Fox che si limitò a fare spallucce.
“Te l’ho detto che i migliori sono tutti dai goblin.”
Il gobbo lasciò cadere il mento sul petto, sospirando. “Mi serve un po’ di magia seria, dimmi che c’è qualcuno che può fare al caso mio.”
“Forse” il tono di Fox era titubante.
“Chi?” Gli occhi di Baldo si risollevarono verso di lui.
“E’ arrivata oggi. Non l’ho mai vista prima. Ha preso una stanza e non è scesa per cena.”
“Una donna? Proprio non me ne va bene una eh? Come si chiama?”
“Tesla. Ma non è proprio una donna.”
“In che senso?”
“E’ una nana delle Fosse Rosse.”

***

I quattro avventurieri erano seduti attorno a lui,  più o meno intenti ad ascoltarlo.
Avvicinare Zena e Solfa non era stato difficile: erano mercenari ghiotti di conio. Per il prete c’era voluta una secchiata di pioggia fredda in faccia, per farlo iavere quel poco da permettergli di stare seduto. Della nana si era occupato Fox, il favore era costato a Baldo una moneta d’argento, ma tanto a pagare era Don Rodrigo.
“La figlia del mio padrone è stata rapita, e voi dovrete riportagliela.”
“Serve che sia viva?” Domandò l’elfa.
“Sarebbe auspicabile” rispose il gobbo.
“Quanto è ricco il tuo padrone?” Intervenne Tesla senza staccare gli occhi dal bastone che teneva in braccio come fosse un cucciolo.
“Abbastanza per soddisfarvi tutti.”
“Chi ha rapito la fanciulla? Dove la tengono?” Questa volta fu il bardo a parlare. Aveva una voce profonda, che non pareva adatta a un damerino sottile come lui.
“L’ha rapita Uht, il negromante. La tiene rinchiusa a Roccabruciata.”
Ci fu un attimo di silenzio. La nana smise di accarezzare il bastone e sollevò sul gobbo uno sguardo chiaro e gelido come ghiaccio.
“Uht? Il tuo padrone dovrà essere davvero molto ricco per una missione del genere.”
“Lo sarà. Penelope è la sua unica figlia. Cento monete d’oro a testa ora e altre mille quando riporterete a casa la ragazza.”
Nessuno dei quattro si lasciò sfuggire un fiato, ma Baldo riconobbe il lampo nei loro occhi.
La brama dell’avventuriero. La peggiore e dannata malattia che si potesse prendere.

CAPITOLO 1 - LA FORESTA IMPENETRABILE
  Percorso A - autore FRANCESCA DAMIANI

Ai miei nuovi compagni d’avventura sembra importare veramente qualcosa di questa storia della principessa. Ottimi attori, non c’è che dire. Mercenari. Non avrei mai immaginato di unirmi a un gruppo di soggetti così poco raccomandabili. Ma si sa, quando mancano i soldi, anche la più nobile delle persone si riduce ad accettare qualsiasi proposta. Maledizione.
Il bardo Solfa si ferma e si guarda intorno, sbattendo ripetutamente le palpebre.
«Ci siamo persi?» chiede con quella sua sorprendente voce armoniosa.
Ci fermiamo, senza che nessuno abbia il coraggio di ammettere la realtà. Zena getta la bussola a terra, spazientita. Le fitte fronde continuano a coprire interamente il cielo, e il gigantesco ulivo alla nostra destra è inconfondibile.
«Eppure questa dannata bussola funziona. Andiamo verso est da ore e siamo sempe qui!» dice finalmente Zena, la voce sempre più alta di tono.
«Una foresta incantata!» strepita Prego, il volto arrossato dalla mezza bottiglia di idromele che è già riuscito a trangugiare. «Non ne usciremo mai!»
Le foreste incantate sono impregnate di una magia non riconoscibile da un mago qualsiasi. Sembra che nel terreno sia instillato un particolare metallo che rende qualsiasi bussola completamente inutile. Nella mia terra si narra che siano stati gli stessi spiriti della natura, stanchi di viandanti che distruggono  piante, fiori e uccidono animali selvatici, a impregnare il proprio territorio di questa magia.
«Qualche consiglio dalle Fosse Rosse?» Solfa si rivolge a me, speranzoso.
«La tua bussola è inutile» dico all’elfa dopo una breve spiegazione, lasciandola senza parole.
«E sai come tirarci fuori da qui?» chiede il bardo preoccupato. «Sei una maga, la magia non dovrebbe avere segreti per te».
«La magia dei nani, forse» rispondo. «Di magia umana ed elfica anche, mi intendo; ma quando si tratta di spiriti, un comune mago può fare poco».
«Tu sei un chierico» dice Zena, indicando Prego con aria truce. «Dovresti sapere come comunicare con gli spiriti».
L’uomo si guarda intorno confuso, ora che gli occhi di tutti sono puntati speranzosi su di lui.
«Sì...» farfuglia. «Ma cosa mai potrei dirgli?»
«Spiegagli che non abbiamo cattive intenzioni e chiedi se possono concederci di uscire da qui» dice l’elfa freddamente, irritata quanto me dalla scarsa lucidità della nostra unica speranza.
Il chierico comunque annuisce e si inginocchia per tracciare strani simboli sul terreno.
Dopo interminabili minuti in cui nulla sembra accadere, Prego ci guarda pallido come un cencio, scuotendo la testa, come incapace di parlare. Nello stesso momento, i rami del gigantesco ulivo si distendono minacciosi verso di noi. No, gli spiriti non devono aver gradito la nostra richiesta.
«Giù!» grido ai miei compagni. Mi paro davanti a loro, il bastone teso verso le fronde che sembrano volerci afferrare. L’elettricità dovrebbe respingerli. Spero.
Con tutte le forze di cui sono capace, riesco a creare una sfera abbastanza grande da proteggerci tutti. Lo stratagemma funziona: i rami non possono toccarci.
«Funziona!» grida Prego, raccogliendo la bussola.
Increduli, tutti e cinque vediamo la lancetta spostarsi di qualche grado.
«Hai smagnetizzato la terra» osserva l’elfa.
Ah, la magia, non si finisce mai di imparare.
Il nuovo piano è semplice: restare chiusi nella sfera magica e fuggire, sperando che l’intuizione di Zena sia corretta. Ho udito bardi elogiare lo straordinario intuito elfico. Spero non sbaglino.
Dopo un tempo indefinito, gli alberi si diradano e alcune case appaiono di fronte a noi.
In lontananza, le mura del castello.
«Siamo fuori» sussurra Solfa.

Percorso B - autore MARCO MERAGLIA

Io e i miei tre compagni, rimasti soli, ci guardammo in faccia l’un l’altro, dubbiosi e incerti. Riconobbi la nana Tesla che si diceva possedesse poteri magici, e li aveva davvero, se far appassire un faggio con un colpo di alito può essere considerata magia. Secondo la leggenda Roccabruciata fu opera sua. Alle origini, infatti, Roccabruciata si chiamava Roccafiorita e pare fosse una bellissima città in collina, ricca di paesaggi e vegetazione, e tutti i turisti rimanevano a bocca aperta nel visitarla! E infatti durante una vacanza estiva la nana Tesla soggiornò lì un paio di giorni lì e non ci fu più nulla da fare. Rimase troppo tempo a bocca aperta. C’era poi Zena, l’elfa ninja, che indossava sempre un cappuccio sulla testa perché si vergognava dalle sue doppie punte. E come darle torto. Orecchie a doppie punte come le sue non se ne vedevano molte in giro tra gli elfi. C’era poi il chierico Prego che aveva preso la via dei voti quando a vent’anni si era ritrovato completamente pelato sul cucuzzolo ed allora aveva pensato bene di farsi frate per dire “Non sono pelato, è l’ordine che mi impone di portare i capelli così”. Ed infine c’ero io, il bardo Solfa, chiamato così perché componevo tutte le mie canzoni usando solo due accordi, il sol e il fa, un po’ come gli Uandairecscions, una band di gnomi che spopolava tra le nanette del Regno.
Come avremmo potuto sconfiggere il terribile Uht, fratello dello spietato Dho e del sanguinario Dhes, da soli?
Ma non c’era tempo da perdere. La figlia di Don Rodrigo era in pericolo! Per prima cosa domandammo all’oste se aveva quattro cavalli freschi per noi. Rispose prontamente di sì e dopo tre quarti d’ora tornò con quattro enormi vassoi fumanti di pezzetti di cavallo al sugo. Dopo aver cenato eravamo finalmente pronti. Zena ci risollevò subito il morale con un antico detto elfico che recitava “aragaf folavaf olafspaks” il cui arcano significato rimase per tutti noi ignoto finché l’elfa non finì di masticare l’ultimo pezzo di carne, deglutì e ripeté il detto a bocca vuota:“A ragà, o la va o la spacca!”. Saggezza elfica.
Uscimmo quindi per la strada e ci avviammo a piedi sotto la pioggia battente. La maga nana, che era assai vecchia e saggia, si mise in testa al gruppo guidandoci nella notte buia. Dopo cinque ore di cammino sentimmo un rumore assordante alle nostre spalle. Era l’oste Fox che serrava la locanda per andare a casa. Capimmo allora che forse era meglio che passasse qualcun altro avanti a guidarci, qualcuno che avesse un passo più svelto. Così la maga nana fu caricata in spalla da Zena, ma solo dopo aver solennemente promesso di non fiatare. Ci avviammo lungo un sentiero tortuoso finché non giungemmo nei pressi della oscura Foresta Impenetrabile che si diceva essere più inaccessibile di un outlet durante i saldi invernali. Su uno dei suoi rami, infatti, campeggiava l’orribile scritta che teneva lontani anche i più coraggiosi cavalieri, “Proprietà Privata”. L’impresa sembrava disperata ma avemmo un’illuminazione. Gli elfi possono volare! Ci dicemmo guardando verso Zena. Così Zena ci sollevò tutti in volo e sorvolammo la foresta senza pericoli arrivando indenni dall’altra parte. Una volta al sicuro rivelammo a Zena che in realtà gli elfi non possono volare e che glielo avevamo lasciato credere solo per convenienza. Ci disse che eravamo più spregevoli e opportunisti dei negromanti Dho, Uht e Dhes messi assieme e non ci rivolse la parola per tutto il giorno. Ma avevamo ben altri problemi da affrontare. Un villaggio misterioso si ergeva infatti di fronte a noi.
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CAPITOLO 2 - IL VILLAGGIO MALEDETTO
 Percorso A - autore ROBERTA SULAS

La faccenda della bussola si è conclusa al meglio, è vero, ma l' istinto continua a ripetermi di non abbassare la guardia. Perché nell'istante stesso in cui abbiamo messo piede in questo villaggio, che non pare né reale né raccomandabile, la dannata inquietudine non mi ha mai abbandonata.
Ma il resto del gruppo è fiacco e qualche attimo di sosta non potrà che rinvigorirlo.
Prego, a cavallo di un grosso tronco mezzo marcio, ci osserva esausto.
 “Io avrei sete” dice laconico ma gli ricordo secca che il sidro lo ha finito da un pezzo e che se lo aggrada, forse, tra noi è rimasto qualcosa di più simile all'acqua. Guardo nella mia bisaccia ma niente e Tesla sembra distratta da altri pensieri.
“E' finita, l'acqua è finita” conclude Solfa con tono rassegnato e incapace di mostrarci lo sguardo.
Poi la nana si alza impetuosa, con il  lungo bastone tra le mani a mò di trofeo.
“La troveremo l'acqua!” sostiene fiduciosa.
“Una buona maga, da dove vengo io, deve essere anche un'apprezzabile rabdomante” poi conclude solenne “diamo fiducia al legnoso compagno e... che non vi sfugga nemmeno un fiato, o non gli sarà possibile concentrarsi”.
Prendiamo a camminare, Prego e Solfa a testa bassa, ben poco speranzosi. Tesla, con il volto al polveroso sterrato, pronuncia parole in una lingua a me sconosciuta.
Al silenzio sono abituata, sono un'elfa ninja, alla concentrazione anche ma in questo posto, oltre al crepitio dei nostri passi pesanti, l'assenza di rumori è persino assordante. Non una mosca, non un filo di vento. Solo sassi, case vuote, e rami secchi.
Quasi all'istante le mani di Tesla sembrano perdere il controllo. Il legnoso compagno la strattona freneticamente e ci conduce tutti verso un punto che pare certo.
Una fonte  naturale d'acqua gelida che sgorga da una grossa pietra nel bel mezzo del niente.
Chiunque, anche il più stupido tra gli stolti, capirebbe che si tratta di un subdolo tranello.
Ma non faccio in tempo a riordinare i pensieri che tutti, salvo me, ne hanno già ingurgitato a ignoranza. Dal profumo  dolciastro proveniente dalla sorgente, capisco subito che si tratta di “acqua imbroglia”; ne avevo bevuta tempo addietro, all'epoca del mio addestramento nella valle di Cascaforte. Asu, il mio maestro supremo, voleva mostrarmi le qualità persuasorie di quest'arma potente e di come fosse possibile risultare accondiscendenti anche quando, di natura, non lo si è affatto. 
Usata contro il malvagio Uht potrebbe aiutarci a liberare la figlia di Don Rodrigo, questo è certo, ma temo per il resto della compagnia e che qualcuno si sia servito di questo mezzuccio per spingerli a compiere azioni contro il loro volere.
Poi sento un rumore, in crescendo. Il mio istinto diceva il giusto. Sembrano passi.
Devo istruire i miei compagni prima che sia troppo tardi.
“Qualcuno ci ha teso di certo un tranello” dico loro. “Tesla, in nome degli Elfi, ti ordino di conservare almeno una fiasca di quest'acqua magica e portarvi subito fuori da questo posto”.
“Prego, Solfa, niente omelie o racconti cantati, sono stata chiara?” aggiungo severa mentre mostro loro la direzione da prendere. “Per ciò che riguarda me, fingerò di aver bevuto quell'acqua” concludo senza aggiungere altro.
Avverto sempre meglio il rumore di quei passi lenti mentre mi assicuro che il resto del gruppo sia divenuto un insignificante punto scuro.
Dinanzi ai miei occhi un gruppo di tre piccoli, coriacei e fetidi troll.
Di quella razza rammento subito della proverbiale stupidità. Uno di loro mi grugnisce di seguirlo,  mostrando il  grande osso da battaglia. Fingo di obbedire. Dalle loro parole, intuisco presto che il villaggio è solo finzione e che la fonte di acqua imbroglia è un subdolo tranello per viandanti assetati, resi poi vittime della schiavitù per il resto della loro esistenza.

E' comunque davvero un grande peccato che non abbiano capito.
Ho offerto a quegli esseri inetti quella stessa acqua e nulla, nel loro piccolo cervello, li ha resi diffidenti. Ho ordinato loro di proseguire, tutti soli, fino alla foresta incantata...
Forse è stato semplice, lo ammetto, ma è altresì noto che tra un elfo ninja ed uno stupido  troll non esista battaglia.
Ora ho raggiunto di nuovo i miei compagni, ancora vittime di quel sortilegio ma non durerà a lungo. 
Comunque un tempo sufficiente per incantare il perfido Uht e liberare la figlia di Don Rodrigo.  

Percorso B - autore MARCELLA GERACI

Era uno strano villaggio. In giro non c’era nessuno e le case sembravano cubi di gesso, con porte e finestre chiuse. Mi guardavo intorno perplesso e cercavo conforto negli occhi dei miei compagni di viaggio, che non davano però l’impressione di saperne più di me. Quelle quattro case avevano proprio l’aria di essere state abbandonate da molti anni, senza neppure l’ombra di un grido, il vagito di un neonato o il latrato di un cane. Eppure il mio orologio faceva circa le sette del mattino e la poggia della notte era finita già da un po’.
“Ehi Solfa, puoi raccontarci qualcosa di questo borgo? Sei un bardo o no?” incalzò Zena, canzonandomi davanti a tutti. “Eppure un cantore dovrebbe essere il primo a sapere le cose! Il guaio è che non hai le orecchie a punta come le mie e quindi ti mancano le antenne per captare i segnali!”
“Ora che mi provochi credo di ricordare una vecchia storia” risposi, facendole gli occhi dolci. Non riuscivo a rimanere troppo a lungo insensibile alla guerriera elfa. Con quel suo caratteraccio e quella particolarità delle orecchie Zena mi piaceva, dovevo ammetterlo.
“Sapete perché Uht ha un potere “a lunga conservazione”?” chiesi sfidando tutti a saperne più di me. “La leggenda narra che gli abitanti del villaggio siano stregati, ogni giorno al mattino presto,  dai dispacci letti dal negromante. Uht legge i dispacci dagli schermi di scatole quadrate di metallo sempre accese, che funzionano con pelle di serpente e tubi catodici. Attraverso il dispaccio, ognuno riceve le istruzioni per svolgere il lavoro quotidiano e nessuno ha il potere di commentare o criticare. L’unica possibilità concessa agli abitanti del villaggio è di scambiarsi qualche parola per organizzare meglio le attività. Nessuno parla o esce per un cinema, per una cena con gli amici o semplicemente per incontrare gente. Gli umani che abitano qui sono schiavi del contenuto dei dispacci e possono mangiare e fare compere nelle botteghe di Uht solo per accrescere sempre più il suo potere e quello dei fratelli. Ma attenzione! Chiunque parli con gli abitanti del villaggio diventerà uno schiavo di Uht, esattamente come loro”.
“Grazie” disse Prego “Queste informazioni sono proprio utili alla mia sbornia” aggiunse tracannando l’ultimo sorso di gin e aggrappandosi al braccio di Tesla che, anziana com’era, vacillò sotto il peso del chierico. “Solo il mio alito è peggiore del tuo” le disse, rivolgendo a me uno sguardo d’intesa. “C’è rimedio contro il potere di  Uht?” biascicò, con la bocca che faceva tutt’uno col viso paonazzo.
“Passare sulla fronte degli schiavi un fazzoletto magico per lavare via l’incantesimo di Uht. Il negromante basa gran parte della sua forza sul consenso degli abitanti del villaggio e di chiunque cada in suo potere. Tesla, una maga può sapere dove si trova questo fazzoletto, vero?” le chiesi speranzoso, grattandomi la fronte.
“Chiudi gli occhi e concentrati un momento! Le migliori sorprese arrivano col vento!”  rispose la vecchia saggia, acchiappando il fazzoletto magico e appoggiandosi a me per non scivolare sulla fanghiglia causata dalla pioggia della notte.
“Però… 100% seta! Questo fazzoletto è magico per davvero! Chi lo trova più un capo realizzato senza poliestere o nylon?” proferii soddisfatto. Avevamo l’oggetto magico in pugno e la cosa mi dava coraggio. E se Penelope fosse anche carina? Sarebbe una ragione in più per arrivare a Roccabruciata!

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CAPITOLO 3 - UN AIUTO INSPERATO
  Percorso A1 - autore IRENE SALA

Dalla bottiglia di gin che ergo sopra la mia bocca spalancata scende un' unica goccia: è già finita. La scuoto un po', ma così facendo la faccio sbattere violentemente contro il mio labbro inferiore. Guaisco di dolore mentre Zena mi guarda con disprezzo. 
 «Invece di amoreggiare con la bottiglia, non potresti aiutarmi con la tenda?», brontola Solfa. Ci siamo accampati in una radura sottovento per riposarci e pensare a come entrare nel castello, che si erge su una collina poco distante. Solfa sta costruendo un rifugio di rami, Tesla prepara un intruglio nanesco per cena (che Dio abbia pietà dei nostri intestini!) e Zena dovrebbe montare la guardia. Mi rialzo:
«Vi aiuterò pregando! Ora ci uniremo in cerchio per ringraziare il Signore di questo lauto pasto...».
«Prego», mi sussurra Zena.
«Brava Zena, lo apprezzo!»
«Prego, stai zitto! Ho sentito qualcosa». Adesso digrigna i denti. Mi guardo intorno e vedo che tutti i miei compagni sono immobili e con le orecchie tese.
«Buonasera, Signori!» Ci voltiamo verso la voce sconosciuta, al di fuori del cerchio di luce del fuoco. Io, per sicurezza, mi acquatto dietro Zena, che già punta la sua balestra verso quel punto.
Dall'oscurità emerge una figura incappucciata da un mantello. Lo sconosciuto lancia verso di noi quella che la luce gialla del fuoco rivela essere la testa mozzata di un Orco. Un urletto isterico mi esce dalla gola.
«Quest' Orco Esploratore vi stava spiando nel bosco. Se non fosse stato per me, a quest'ora avrebbe già avvertito il Negromante della vostra presenza», spiega lo sconosciuto.
«Chi sei?», gli urla contro Tesla.
Il viandante si abbassa il cappuccio: è un giovane uomo, e la sua faccia mi sembra famigliare.
«Sono Dhin, figlio del nobile Don...»
«Perignon?!», esclamo speranzoso, facendo capolino dietro Zena. Lei, per tutta risposta, mi rifila un calcio nella pancia.
«Del nobile Don Gesualdo, fratello di Don Rodrigo», continua imperterrito il giovane. «Anch'io sono qui per liberare mia cugina Penelope».
Con un sommesso «Ah!» collettivo tutti noi ricordiamo di averlo visto in qualche dipinto di corte.
«E sai come entrare nel castello?», chiede Solfa.
«Prima di seguirlo fin qui, ho visto quell'Orco uscire da un tunnel segreto alla base della collina: posso ritrovarlo facilmente».
«Bene, facci strada!», esclama entusiasta Tesla.
In men che non si dica, abbiamo già disfatto il nostro accampamento. Dhin ci guida con passo sicuro nella boscaglia. Mi affianco a lui, guardandolo con circospezione. Faccio istintivamente schioccare forte la lingua contro il palato. A quel suono buffo, Solfa mi guarda con un ghigno idiota.
«Hai già la gola secca, Prego?»
«Non è questo», gli sussurro cercando di non farmi sentire da Dhin. «Quando la lingua  mi schiocca vuol dire che c'è qualcosa che non va e quel tipo non mi convince. Solo perché è il cugino di Penelope, non vuol dire che la voglia aiutare davvero».
«Ma cosa ne vuoi sapere tu? A me invece sembra un ragazzo sveglio e un buon combattente. E non parlarmi più così vicino, il tuo alito è pestilenziale!».
Arrivati al tunnel nascosto, entriamo senza indugio e dopo quella che pare un'ora di cammino, vediamo una luce davanti a noi. Facciamo appena in tempo a uscire, che un gruppo di sudici Orchi ci circonda, disarma e imbavaglia all'interno del castello. Ma Dhin non è prigioniero insieme a noi! Anzi, ci guarda con un sorriso sinistro:
«Che imbecilli! Vi siete fatti fregare proprio da me, l'apprendista del Negromante!».
La sua risata ci insegue mentre veniamo scortati lungo le segrete, verso la sala principale del castello.
  
Percorso A2 - autore ROBERTA SULAS

Se non fosse che gli elfi, per loro natura, sono esseri leali ed affidabili mai avrei creduto a ciò che Zena, con sue parole , ci ha narrato. Eppure anche l'arsura pare ormai un ricordo...
E se non fosse poi che mi pare di aver marciato di gran lena e che ciò che si para ora dinanzi ai nostri occhi è un reale villaggio in festa,  giurerei di star vivendo un sogno.
“Lo sapevo che il buon Dio non ci avrebbe abbandonati” esclama  Prego giulivo.
“E il buon Dio non ti ha ancora insegnato che nulla è che quel che sembra?” lo rimbecca Zena  innervosita da tale e rinnovata stupidità.
Tesla la maga, affidata  una volta ancora alla sapienza del suo randello, girovaga prudente per scongiurar nuova sventura mentre io vengo sedotto da  un'insolita iscrizione; è  marchiata col fuoco su di un grosso trave in quercia rossa e infilzato come un chiodo nel terreno  erboso.


“VILLAGGIO DI UHT IL MAGNIFICO”
 stranieri, non osate varcar codeste mura
 o perirete per terribile sventura!


Mentre  già vaneggio per la sorte  che ci attende scorgo Tesla, accomodata su di un lembo erboso, intenta nella lettura dei suoi antichi sassi; Zena e Prego lì accanto.
D'improvviso ne solleva uno a mezz 'aria scrutandolo  perplessa e rigirandolo tra le nodose dita.
“Le rune hanno parlato!” sentenzia solenne la maga “ Ci sarà un matrimonio e verrà celebrato all’imbrunire tra le mura di quel castello” conclude alzandosi lenta e indicando l'orizzonte oltre il villaggio.
Mi avvicino per comprendere meglio.
“Dannazione, quindi Uht intende prendere in moglie quella donna!”afferma Zena infervorata mentre stringe saldamente i pugni “Non possiamo più aspettare”conclude secca.
“Che Dio non smetta di accudirci” sussurra Prego.

Camminiamo con passo leggero destreggiandoci tra chioschi e bracieri, fattucchiere e abili flautisti e riuscendo anche un poco a ristorarci, mentre Zena scruta guardinga tutt' intorno.
VOI! FORESTIERI” minaccia una cavernosa voce proveniente dalle nostre schiene “CHI SIETE E DA DOVE ARRIVATE?”.
Ci voltiamo lentamente. Dinnanzi a noi un imponente armatura scura impugna il suo gladio con fare ostile.
“Son bardo Messer e questa è la mia compagnia”­ rispondo tentando di celare ogni incertezza “Siamo qui, nominati dal magnifico Signore, per via dell'attesa Cerimonia” concludo riverente.
“Dunque…” ribadisce l’uomo sbeffeggiante “…abbiamo un prete malconcio, una nana che...”
“son giullare messer” lo interrompe la maga offrendo un generoso inchino
“ed io un'abile saltimbanco” aggiunge l'elfa contorcendosi in un'abile figura .
“...E UN BARDO, COME TI VANTI D’ESSERE, SENZA NEPPURE UNA VECCHIA LIRA???” tuona in crescendo il lustro cavaliere.
“La voce, Messer, è il mio strumento” concludo  impavido schiarendomi  poi la voce, mentre le genti si accalcan tutt’intorno.
                                                                                                                                    
“C’era una volta una singolare compagnia
 unita dalla brama di denaro e così via…
Si accinsero un bel dì verso il bosco impenetrabile
ma il posto era fatato e non sarebbe stato facile!
Poi il tocco incantato di una maga senza pari
li mise in condizione di schernire gli avversari”

“In seguito, è da dirsi,
ci fu presto motivo di avvilirsi
La sete, che oramai  li attanagliava incalzante
ingannò la Compagnia che camminava pesante
La fonte in mezzo al nulla era un mero inganno
ma l’astuzia dell’abile elfa, arginò il grande danno.
I fetidi troll, improbabile armata,
scomparvero così nella foresta incantata”

“Il seguito, miei cari spettatori
deve ancora essere scritto dai provetti attori
ma il buon Solfa, il suddetto cantastorie
non mancherà di certo nel raccontar le nuove glorie”


Son plausi quel che sento!
Lo scuro cavaliere, servitore del perfido negromante, si prostra a noi in un ferraglioso inchino.
“Fate largo gente!I signori sono attesi al Castello!”.

Percorso B - autore PAOLO BORGHI

Il piano era semplice. A Zena spettava il compito di catturare un abitante del villaggio, appena fosse uscito a sbrigare le sue mansioni, nella speranza che potesse esserci d’aiuto. Per questo si era appostata su un albero, armata del fazzoletto magico. A noi, il compito di riflettere sulle mosse successive. Solfa, per esempio, si era scelto un cantuccio da cui spiare l’elfa. Tesla, invece, sonnecchiava.
Io me ne stavo accovacciato di fianco alla nana. Sì, la vecchia nana mi piaceva, soprattutto perché accanto a lei mi sentivo libero di estrarre la fiaschetta delle emergenze e inumidirmi le labbra, senza suscitare l’ironia altrui. Dell’elfa, per esempio. Quella virago non aveva ancora digerito lo scherzetto del volo sulla foresta. A proposito, dov’era finita?
Mi accorsi solo allora del passaggio di un carro nelle vicinanze. “Aiuto! Lasciami!”, fu il grido che sentii dietro a un cespuglio. Ci fu un parapiglia, al termine del quale l’elfa gettò ai miei piedi un uomo privo di coscienza. “Ci penso io”, fece Solfa, e attaccò un motivetto che avrebbe fatto rabbrividire un sacrista stonato. Bastarono due note per risvegliare quell’individuo, che tutti noi ben conoscevamo come l’oste del Cinghiale Rannicchiato.
“Fox, vecchia volpe, non mi dirai che eri nei paraggi a raccogliere erbe aromatiche per i tuoi secondi di carne?”, lo apostrofai.
“Come hai fatto a indovinare, ubriacone di un prelato?”, ribatté quello, che non doveva aver gradito molto il trattamento di Zena. La fissava infatti con un volto deformato dalla rabbia.
“È molto semplice: allo stufato di cavallo che ci hai servito mancava il rosmarino”, replicai piccato. Non ho mai potuto sopportare trascuratezze in cucina.
“Stammi lontano, Prego, hai un alito che basterebbe da solo ad annientare il terribile Uht”, fu il suo gentile commento.
“Ora basta!”, s’intromise Zena, “Non credo a una sola parola di quello che hai detto, oste. La tua presenza qui puzza di bruciato lontano un miglio”.
“Lo spezzatino di cinghiale!”, esclamò Fox, “È ancora sul fuoco! Devo tornare indietro subito” e fece per andarsene, ma a trattenerlo fu il pugnale dell’elfa. Ce ne volle, prima di riuscire a metterlo calmo. Alla fine si rassegnò e cominciò a parlare: “Sentite, sono veramente venuto a raccogliere odori per la mia cucina” – e così dicendo mostrò un mazzetto di verdura che per quanto mi riguarda poteva essere tanto salvia quanto cicuta – “ma sono venuto anche per un altro motivo. Da qualche tempo, tutti i commercianti della valle vanno da Uht a rifornirsi di quello di cui hanno bisogno. Siamo costretti, capite? Non sarebbe la prima volta che qualcuno che si è rifiutato di fare affari con lui si ritrova con la gola tagliata! Così sto portando botti del mio vino al castello da scambiare con argenteria e pollame per la mia locanda.”
Ebbi allora un’idea luminosa, di certo merito dell’ottimo gin. Biascicai: “Sentite, è una vera fortuna aver incontrato questo furbacchione. Potremmo raggiungere indisturbati l’interno del castello nascondendoci sul carro tra le botti di vino”. L’idea parve buona. Ma, durante il viaggio, Tesla ci confidò: “Il mio naso fa molto prurito: succede quando qualcuno ha mentito”. Quelle parole ci raggelarono. Solfa le offrì una lozione emolliente che usava spesso per schiarirsi la voce, mentre io cercavo di mantenere il sangue freddo spillando un po’ di vino dalle botti di quello spilorcio di un oste. A un tratto, il rumore di due pesanti battenti che si chiudevano alle nostre spalle ci segnalarono che eravamo entrati nel castello.
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CAPITOLO 4 - IL CASTELLO DEL MALVAGIO UHT E LA LIBERAZIONE DI PENELOPE
 Percorso A1_1 - autore ROBERTO VACCARI

“Le cose non sono mai come sembrano”. Il suono della voce di Prego risuona nella grotta in cui siamo stati confinati.
“Sì” commento. “Sono sempre peggio”.
“Peggio o meglio, diverse, Tesla”.
Sto per ribattere quando un’eco metallica conferma che, dopo la notte trascorsa nella segreta, stiamo forse per incontrare il nostro destino.
“Ci uccideranno” dico, spaventata.
Lo stridio di una grata è la prova che qualcuno sta scendendo all’inferno. Ricordo poco di come siamo finiti nella segreta, ma la trappola in cui siamo caduti dimostra la potenza delle forze che tramano contro di noi.
“Trovo strano che non ci abbiano già eliminati” afferma il chierico.
Quando odo lo scalpiccio davanti alla cella, mi ritraggo, memore delle parole profetiche di Prego. Tra due orchi appare una figuretta diafana, la cui corporeità appare irreale in quel buco di disperazione. I due orchi consentono alla creatura, qualunque sia la sua natura, di farsi avanti. L’apparizione ha l’effetto di rischiarare l’atmosfera, e sui volti dei miei compari di sventura si dipinge uno stupore timoroso. Ci fronteggia una ragazza di una bellezza sconvolgente, il cui aspetto dimostra che da qualche parte nel mondo esiste la grazia allo stato puro, figlia della speranza di poter modificare i grami destini dei viventi.
“Sei Penelope!” esclama Prego. “E sei venuta per consegnarci a Uht”.
La ragazza gli sorride.
“Non vi verrà fatto alcun male. Uht, il mio sposo, vuole parlarvi” conferma dolcemente l’apparizione.
“Siamo venuti per liberarti e…” tenta di intromettersi Solfa, ma basta uno sguardo di Penelope per zittirlo.
“Venite, non abbiamo tempo”.
Gli orchi ci scortano in un labirinto sotterraneo fino a un salone sobrio e luminoso. In quel tortuoso percorso noto che il castello è deserto e poco presidiato e mi chiedo cosa impedisse a Rodrigo di conquistarlo. Perché il padre di Penelope ha dovuto ingaggiarci, se gli sarebbe bastata una banda di servi per riprendersi la figlia?
Trascorsi pochi istanti, dalla porta che si apre sul fondo entra un uomo che mostra una trentina di anni appena, alto e con un portamento da principe. Si ferma a pochi passi e si presenta: “Sono Uht” dichiara, “il principe dei Goblin”.
Alla sua affermazione ci ritraiamo. Da che mondo è mondo la guerra contro i Goblin si è sempre presa le vite migliori, e i governi trovano ogni scusa per aumentare le tasse e tenere il paese sotto scacco. Del resto, anche nella mia terra è instillata nei bambini l’idea della perfida natura dei Goblin, esseri mostruosi per definizione. Tuttavia Uht non sembra un mostro. Nelle sue fattezze posso leggere, invece, una nobiltà che sfugge alla comprensione. “Dicono che io sia un negromante” prosegue l’uomo, “e può essere che io lo sia. Ma la vostra venuta prova che il destino si è compiuto. Siete stati seguiti, e presto l’esercito di Rodrigo irromperà per il passaggio che vi ha condotto qui. La mia magia non può nulla contro la pervicacia di quell’uomo. Penelope ha compreso la crudeltà del padre molti anni fa, quando accettò di condividere con me la necessità di porre fine alla guerra con i Globlin. Avrei potuto ucciderla, stante la definizione malvagia che i vostri signori danno di noi Goblin. Non voleva credere che suo padre prosperasse sulla guerra. Ma poi il nostro ricongiungimento ha messo in moto la storia.”
“La nostra missione è stata dunque senza scopo?” chiedo, facendomi avanti.
“Al contrario. Il mio amore per Penelope è stato il catalizzatore di un destino ineluttabile. La vostra venuta è il suggello finale per il nostro piano. Questo luogo è qualcosa di diverso da quanto appaia. Lo capirete solo quando sarete in salvo.”
“Ci state liberando?” chiedo, speranzosa.
“Sì, qualcuno deve portare al mondo la buona novella. I nostri popoli possono prosperare solo nella pace” interviene Penelope dando il braccio all’innamorato. In quell’istante la nostra attenzione viene attratta da un fragore di battaglia che proviene dall’esterno del salone. “Sono gli uomini di Rodrigo” dice Uht. “Sono passati dal condotto. Sono ormai padroni del castello. Lui stesso è qui, lo sento. Avrà buon gioco contro i nostri Orchi”.
“Ma è stato uno dei tuoi a suggerirci quel passaggio per poi dimostrarci che ci aveva tradito!” esclamo.
“Era l’unico modo per indicare una via sicura a Rodrigo. Tra di voi una sua spia ha sempre tenuto informato il suo padrone. Era Rodrigo che volevamo attrarre qui, non voi!”
“Una spia?”chiede la voce querula di Prego. “Impossibile…”
“Sì, chierico. E tu eri l’unico che poteva tenersi in contatto con Rodrigo tramite i poteri spirituali che hai sempre spacciato per altro” sentenzia Uht.
Fissiamo increduli Prego, ma il suo sguardo di disprezzo ci trapassa, confermando le accuse.
“Credevate davvero che Rodrigo confidasse in rifiuti come voi?”esclama con spregio. Il frastuono si sta facendo sempre più intenso. Dietro la spessa porta qualcuno inizia a sollecitarne la tenuta. Udiamo la voce di Rodrigo sovrastare il frastuono per minacciare Uht e la figlia dei peggiori tormenti.
“Non uscirete vivi di qui” dice Prego. “Siete finiti.”
Penelope indica un passaggio che Uht ha fatto comparire nella parete.
“Andate, presto. Racconterete la nostra storia, avrete salva la vita e salverete il mondo” ci scongiura Uht. Prego tenta di intromettersi, ma è un attimo perché io stessa metta in comune i miei poteri con Solfa e Zena, concentrandoli sulla spregevole creatura che si frappone fra noi e la salvezza. Prego viene sbalzato contro il muro e un istante dopo ci infiliamo nel passaggio. Proprio mentre il muro si ricompatta, mi rivolgo ai due nobili che resteranno a fronteggiare Rodrigo: “Chi vi salverà?” chiedo, vinta dal senso di colpa.
“Noi siamo già salvi” grida Uht, mentre il muro si chiude per sempre.
Ore dopo, all’aria aperta, ci rendiamo conto che qualcosa di terribile e definitivo è accaduto. Ai piedi della collina su cui sorge il castello tutto appare cristallizzato in una morsa trasparente. Le fortificazioni sembrano consegnate a un mondo ultraterreno e inespugnabile, congelato per sempre al di fuori di ogni pretesa terrena. Comprendiamo che la potente magia del negromante Uht ha congelato anche Rodrigo in quella trappola preparata con tanta accuratezza. Roccabruciata non esiste più nel nostro mondo, ma in un altro, dove Uht e Penelope regneranno senza poter più influire sui destini dei mortali. E con loro Rodrigo e le sue orde, imprigionati dietro il cristallo in cui la magia di Uht li ha intrappolati.
“Che accadrà ora?” chiedo ai miei due compari. Solo ora mi accorgo che il sole pare più limpido, e la foresta che circonda Roccabruciata risplende di un verde vivido.
“Dobbiamo portare la notizia ” proseguo. “Oggi siamo stati testimoni della nascita di un’era in cui sarà possibile vivere in pace con tutti, Goblin compresi”.
“Ci credete davvero?” chiede Solfa. “Credete davvero che la gente confiderà in noi, invece che nella paura che la paralizza da secoli?”
“Ci proveremo, lo dobbiamo a Penelope e a Uht” dico, convinta.
Ci incamminiamo lungo la valle che conduce in città. Dietro le spalle mi pare di udire la voce di Penelope che ci incita a credere al nostro nuovo destino.

Percorso A1_2 - autore FABRIZIO L. LAGO

“Vi siete fatti fregare di nuovo!” aggiunge Dhin, poi si ferma poco prima di un grande portone di legno borchiato. Ride ancora osservandoci, quindi pronuncia delle parole incomprensibili passandosi una mano sul volto: il suo viso pare deformarsi, per un attimo riassume le sembianze di Baldo, il gobbo servitore di Don Rodrigo, quindi le grottesche fattezze di un sudicio orco.
“Ecco! Sono molto più bello al naturale, vero?”
“Essere immondo, ci ha ingannato dal primo istante! Era tutta una trappola!”
In preda all’ira emetto dei sordi brontolii dietro il bavaglio. Sono stato raggirato, proprio io, Solfa, che con le parole ho persuaso cavalieri e nobildonne di tutto il regno, mi sono fatto ingannare da uno stupido orco. Non riesco però a finire di rammaricarmi: una bastonata cala sulla mia spalla sinistra facendomi accasciare, l’orco che mi scorta non deve aver gradito la mia protesta. Zena mi getta uno sguardo commiserevole. É colpa sua, l’idea di un’avventura insieme mi ha fatto perdere la lucidità, sapevo che il mio debole per le elfe mi avrebbe fatto finire male, prima o poi.
“Pensavate davvero che ci fosse qualcuno così stupido da affidare a voi un incarico del genere? Volevate sconfiggere Uht?” ride fragorosamente l’orco apprendista. Intanto due dei suoi arrivano con un lungo fagotto sulle spalle, lui ne scosta i lembi a un’estremità e fa emergere il volto di una graziosa fanciulla esanime.
“Ed ecco la principessina. Forza, è ora di entrare in scena!”
Il portone viene spalancato dagli orchi e siamo spinti dentro un ampio salone: enormi bracieri infuocati posti vicino ai muri illuminano l’ambiente in modo inquietante. Le fiamme emettono una luce scarlatta che non vince completamente l’ombra e che si fa più scura intorno a un alto uomo dai capelli lunghi e corvini, seduto su un trono addossato alla parete opposta. Altri uomini stanno vicino a lui, in attesa.
L’orco che ci ha catturato ci conduce a pochi metri dal trono e veniamo costretti a inchinarci dai nostri nefandi carcerieri, che non usano troppa delicatezza.
“Uht, mio signore, l’abbiamo trovata! Era prigioniera di questi briganti, nella foresta stregata” esordisce trionfalmente il mostro, mentre i suoi depositano il corpo di Penelope davanti al negromante.
Un uomo bruno, robusto e barbuto accorre vicino alla principessa, la libera dai cenci in cui è avvolta e cerca di rianimarla.
“Don Rodrigo, come vedi avevo ragione” esclama Uht mentre si alza in piedi, il tono della sua voce è cupo e la sonorità talmente bassa da far vibrare l’aria intorno minacciosamente.
“Abbiamo trovato questo con i briganti” aggiunge l’orco, rovesciando un sacco di monete d’oro davanti a Don Rodrigo “Sono vostre?”
Si tratta dell’acconto che il finto Baldo ci aveva dato alla locanda.
“Maledizione!” Grugnisco ancora, anche se poco importa a questo punto, ho idea che in questa faccenda perderemo più che le cento monete d’oro. Don Rodrigo mi fissa furente e viene verso di me con passo piuttosto minaccioso. Mi colpisce con violenza al volto: uno, due, tre diretti potenti, corroborati dal guanto di maglia che mi lasciano un acuto sapore metallico in bocca. Crollo al suolo in avanti e sputo sangue, mi rendo conto di aver perso il bavaglio.
“Si, è l’oro della scorta di Penelope, era scomparso con lei ovviamente” risponde il nobiluomo. “Uht, perché mia figlia non sembra riaversi? Eppure è viva!”
“Deve essere preda di un sortilegio, le vesti della nana mi paiono quelle di una maga, sebbene sia piuttosto insolita. Non preoccuparti, posso annullare io questo sonno innaturale, ma prima voglio che tu mantenga la tua promessa: la mano di Penelope è dunque mia?” chiede il negromante con gli occhi avidi puntati verso Don Rodrigo.
Quest’ultimo pare impallidire per un momento, tutti pendono dalle sue labbra: i cavalieri che lo accompagnano mettono mano all’elsa delle loro spade, gli orchi digrignano le loro sporche zanne, i miei compagni sono impietriti.
“Hai onorato il patto Uht, hai ritrovato mia figlia e, sebbene per me sia come perderla nuovamente, è giusto che sia tua moglie, piuttosto che prigioniera di questi malfattori. La sua mano è tua” ammette con sconforto l’uomo.
“E anche le tue ricchezze! Stolto!” penso. É chiaro che Uht mira ad accaparrarsi i possedimenti di Don Rodrigo tramite la mano della sua unica ereditiera, che, sono certo, non tarderà a succedergli. Il piano è perfetto, non fosse per un unico casuale neo: la bocca di un bardo, libera di proferire parola! Come al solito mi sottovalutano e come al solito se ne pentiranno!
Mentre ancora sputo sangue, col viso riverso sulla fredda pietra, scorgo vicino al sacco delle monete la piccola fiasca d’Acqua Imbroglia riempita alla sorgente dei troll. Zena aveva avuto ragione di conservarla. “Come posso non adorarla?”.
Ancora dolorante per i colpi presi, mi raddrizzo e riesco a essere subito alle spalle dell’orco che ci ha ingannato. Con voce sibilante e insistente, appena percettibile al suo orecchio, faccio nascere in lui una voglia a cui non può resistere, una suggestione antica e indomabile: l’arsura nella sua gola, la necessità di bere. Il messaggio si fa largo nella sua mente e lo conduce a vedere la fiasca d’Acqua Imbroglia per terra. Lo stupido orco cade nella mia tela: la afferra e se la tracanna d’un fiato, mentre l’attenzione di tutti è su Uht e Don Rodrigo che si stringono la mano per suggellare lo scellerato patto.
Ora l’orco attende un comando che non vedo l’ora di dargli.
“Liberami e confessa a Don Rodrigo come lo avete ingannato. Ora!” gli sussurro.
Di lì a poco, ho i polsi liberi dalla corda e posso assistere compiaciuto alla caduta del velo che nasconde la verità.
L’orco si avvicina a Don Rodrigo con sguardo vuoto, quindi, nell’incredulità di tutti, specie di Uht, spiega placidamente che Penelope è stata rapita da loro e che noi quattro siamo solo degli avventurieri, estranei alla faccenda.
Il nobiluomo sembra per un attimo perplesso, poi, come se non aspettasse altro che quello, sguaina la spada e decapita, con un solo brutale e velocissimo fendente, il malcapitato orco. Gli uomini di Don Rodrigo imitano il loro signore e presto il salone diventa teatro di una sanguinosa battaglia.
Io libero in fretta i miei compagni e li invito a battercela: non abbiamo più parte in questa vicenda. Ci fermiamo appena fuori dalle mura a riprendere fiato, Prego e Tesla si sorreggono l’un l’altra affaticati.
“Signori, non è stato un gran piacere in effetti, ma almeno la pellaccia l’abbiamo salvata. Se sentite il dovere di ringraziarmi, non vi contenete affatto” affermo accondiscendente.
“Sei meglio di quanto sembri, Solfa” risponde Tesla. “Le nostre strade si dividono comunque qui, meglio non rivedersi per un po’.”
Tutti concordiamo con quest’ultima considerazione della nana, quindi ci accomiatiamo.
Dopo pochi minuti di cammino sento alle mie spalle un fruscio: è Zena, mi ha seguito.
“Riprendiamo la nostra conversazione alla locanda?” mi chiede.
“Mi sembravi poco interessata l’altro giorno” replico.
“Certo, ma con un sacco da quattrocento monete d’oro sotto il mantello ti trovo più accattivante, Solfa!”
“Le elfe mi faranno finire male, prima o poi...”

Percorso A2 - autore LEILA B.

Percorrendo il corridoio il cavaliere ci racconta della magnifica cerimonia prevista per l’indomani.
“Con teatranti come voi non ci si annoierà di certo” osserva fermo davanti alla porta  della sala dei banchetti. “Entrate, Uht desidera una dimostrazione delle vostre doti prima di assoldarvi“ specifica mentre spinge i giganteschi battenti di biancospino per farci strada.
Dal fondo del Salone Uht ci osserva.
Se vi dicessi che il Magnifico Uht è come me lo aspettavo mentirei. Non so neanche dire di che razza sia, avvolto com’è nel metallo scuro della sua armatura. Se è umano deve essere un bastardo di troll o di gigante. Quello però che è stupefacente, e che dà ancora una volta risalto all’immane fortuna del popolo elfico, è che al suo fianco sdraiata su un triclinio c’è Penelope, inguantata in un abito rosso e con lo sguardo assente, perso nel vuoto.
“Eccoli Magnifico!” Prorompe il cavaliere.
“Avvicinatevi!” La voce metallica sembra uscire dal fondo di un pozzo.
Solfa, davanti, ha perso tutta la sua spavalderia e i miei occhi elfici non si sono lasciati sfuggire l’impercettibile tremore delle sue ginocchia.
Ha bisogno di un aiuto, così lo spingo avanti.
Avanziamo di una decina di passi poi Solfa torna a fermarsi prodigandosi in un inchino.
“Superba Magnificenza” balbetta illuminato da un raggio lunare penetrato dalla cupola di vetro che sovrasta la sala, “la compagnia del Sonaglino è al vostro servizio. Dite, vostra grazia come potremmo allietarvi.”
Uht rimane in silenzio e mentre pensa Tesla ne approfitta per attirare la mia attenzione stuzzicandomi insistentemente il polpaccio con la punta del bastone.
“Le vedi?”
“Cosa?”
“Le catene dorate che la imprigionano.”
“Non vedo nessuna catena” le sussurro.
Mi sfiora ancora col bastone. Sento un leggero calore salire dal polpaccio fino agli occhi.
“Le vedi adesso?” domanda la nana.
“Si, la poverina è legata mani e piedi e una grossa catena parte anche dal collare che indossa.”
“Quelle che vedi, Zena, sono le catene del Sole, e si dà il caso che io sappia spezzarle. Dobbiamo far bere l’acqua imbroglia a Penelope” afferma Tesla.
Fosse una cosa semplice, penso. La nostra unica speranza di bloccare e vincolare Uht è con l’aiuto del nostro chierico.  Lancio un’occhiata a Prego: gli occhi sono già chiusi per tre quarti. E’ almeno mezz’ora che non beve e se non lo fa non avrà la lucidità e la forza necessaria a vincolare Uht.
Mi arrovello mentre Solfa elenca le nostre capacità prendendo tempo e facendo così aumentare l’indecisione di Uht. Quando sento la parola mangiafuoco la mia mente si accende.
E’ il momento di intervenire. Muovo un passo avanti spingendo Solfa di lato.
“Magnifico e supremo Uht, se posso consigliarvi non mi lascerei fuggire l’occasione di vedere la maestria di Prego il mangiafuoco. Le fiamme per quest’uomo non hanno segreti e sono sue servitrici” concludo indicando con un gesto plateale la figura dimessa di Prego che, sebben titubante, col suo inconfondibile stile da ubriaco lascia intendere di aver capito il mio piano.
Il chierico prende il suo posto innanzi al Magnifico Uht, mentre noi ci facciamo di lato.
Prima che tutto cominci affondo rapida la mano nella borsa per stringere l’ampolla di acqua imbroglia. Faccio segno a Tesla che già è pronta a proteggere il chierico.
“Tu Solfa non fare sbruffonate” gli sussurro avvicinandomi a lui prima che Prego cominci.
“Sarò ben lieto di non intralciarvi” ammicca lui di rimando.
“Magnifico e supremo Uht, ecco per voi la fiamma delle isole” afferma con voce strascicata Prego.
Il chierico trae da sotto il mantello la fiasca ricoperta di vimini e ne trangugia una buona metà in un sol sorso.
Il vino lo rinvigorisce subito. Il suo sguardo è lucido e attento, la sua voce alta e penetrante.
“Cosa stai facendo? Non ti serviranno a niente le tue preghiere” afferma con disprezzo Uht alzandosi di scatto dal suo seggio e stendendo la mano verso Prego.
La voce del chierico è così forte da sovrastare quella cavernosa di Uht. La folgore dalla sua mano divampa quasi senza che noi ce ne accorgiamo.
Il dardo saetta verso Prego, ma viene deflesso da una barriera argentata che ha preso forma dopo lo schianto. Tesla ci sta proteggendo e ora che Uht è distratto non mi rimane altro da fare che liberare Penelope.
Scatto di lato e veloce quanto il secondo lampo scagliato da Uht raggiungo la fanciulla.
Le sollevo la testa e di forza le faccio bere tutto il contenuto della fiala.
Quando Penelope deglutisce l’ultimo sorso vedo le catene d’oro dissolversi.
“Tu maledetta!”
Uht si è voltato nella mia direzione. Si avvicina ma la sua figura è più piccola, più scarna. La preghiera di Prego lo sta prosciugando. Quando mi afferra è privo di forza, ormai solo un’armatura vuota che si trascina sul pavimento.
“Mi avete sconfitto ma vi siete tutti condannati. Presto anche voi…”
Non riesce a finire la frase che si accascia a terra.
Uht è stato sconfitto e se non vogliamo avere altri problemi è meglio lasciare il castello.

Ci accampiamo fuori dal villaggio, nei pressi della foresta. Per questa notte non ci troveranno grazie anche alla nube che copre il cielo e nasconde la pallida luna.
Penelope si è svegliata e piange ininterrottamente da quando ha saputo che Uht è stato sconfitto.
Ogni nostro tentativo di rincuorarla è vano. Bofonchia che non capiamo che Uht era buono e che voleva sposarlo. Che avrebbe vissuto una vita serena e che invece ora dovrà tornare da quel padre padrone che la teneva relegata nella torre più alta del castello.
Le faccio presente che anche Uht la teneva incatenata con la magia soggiogandola non solo il corpo ma anche la mente, ma più le ribadisco questa cosa, più lei piange.
Quando il suo ritornello inizia a stancarci la obblighiamo a dormire. Noi tutti ci corichiamo lasciando Prego a fare il primo turno di guardia.

Apro gli occhi ancora assonnata. Nel silenzio della foresta qualcosa è cambiato. La luna piena è tornata prepotente a illuminare la radura. Uno scricchiolio sordo attira la mia attenzione. Poi la vedo.
Penelope, o quello che è diventata. Il suo bel vestito rosso è lacerato a terra. La sua schiena muscolosa si tende e si inarca ricoperta da un sottile strato di pelo. Ha percepito la mia presenza.
Gli occhi gialli mi fissano. La bocca sporca di sangue si allarga in un sorriso. Prego ai suoi piedi getta uno sguardo vuoto verso di noi: ha il ventre dilaniato.
“Uht vi aveva avvertito. Le catene mi impedivano di trasformarmi. E’ colpa della luna.”
Penelope si alza e muove passi lenti nella mia direzione. Istintivamente scalcia Tesla e Solfa che si svegliano di soprassalto.
“Mio padre mi teneva imprigionata per evitare la morte del suo popolo. Uht lo sapeva ed era venuto a salvarmi. Aveva trovato il modo di farmi vivere una vita normale. Mi avrebbe sposato e mi avrebbe dato una famiglia. In cambio avrei dovuto rinunciare alla mia libertà solo quando la luna era piena. Una rinuncia che mi avrebbe comunque permesso di stare fra la gente anche quando il lupo avrebbe voluto divorarli.”
Mi faccio indietro alzandomi da terra. Penelope è ancora lontana e riesco a mettermi sulla difensiva afferrando le mie armi,.
“Alzatevi in fretta!” grido ai miei compagni rimasti.
Solfa scatta quasi sull’attenti e mi si porta al fianco.
Tesla allunga la mano sul bastone ma Penelope è più veloce e le afferra la testa sollevandola da terra.
“Avete rovinato la mia vita, ora io mi prenderò la vostra.”
Basta un morso per decapitare la nana. Io e Solfa non vediamo neppure il corpo cadere a terra: corriamo costeggiando la foresta, senza voltarci, sentiamo la bestia seguirci.
Poi la strada finisce e davanti a noi si apre uno strapiombo: il fiume è cento passi sotto di noi.
Guardo Solfa e sospiro. Penelope è a cinque passi da noi.
“Meglio una morte probabile che una certa” urla Solfa mentre si lancia nel vuoto.
Io lo seguo mentre l’artiglio di Penelope fende l’aria nel punto in cui mi trovavo solo un istante prima.

L’acqua è fredda e il fiume impetuoso. Arranco ma riesco a raggiungere la riva. Anche Solfa è salvo.
Un ululato rompe il silenzio della notte e segna per noi l’inizio di una vita da prede.

Percorso B - autore CONTE DOOKU

Tornare a Roccafiorita dopo tutti quegli anni mi faceva un certo effetto, dovevo ammetterlo, anche se le circostanze mi avevano accompagnato a quel branco di assoluti mentecatti. Li trovavo davvero insulsi e insopportabili, specialmente Solfa. La leggenda che voleva i dintorni della rocca appassiti a causa del mio alito era davvero offensiva, non era certo colpa mia se avevo un quarto di sangue di drago e, quando mi giravano di brutto, i miei espiri diventavano un tantino roventi.
Il naso poi mi dava il tormento, era da quando avevamo lasciato la locanda che captava menzogne, ma durante quel breve viaggio tra le botti mi era letteralmente esploso: hai voglia applicare unguenti, mi sentivo come una talpa dal muso a stella. E proprio ora che avrei voluto farmi bella per incontrare Uht!
Certo che ne aveva fatta di strada, me li ricordavo bene lui, Dho e Dhes a rivoltare letame nelle stalle di del castello. Io al tempo già studiavo magia ed era stato sotto la mia guida che Uht aveva lanciato il suoi primi dardi incantati. A volte gli sfuggivano dalle dita mentre strigliava i cavalli. Quanti equini carbonizzati avevamo sepolto insieme nottetempo, di nascosto da Don Rodrigo. Benedetta giovinezza! E che baratti stupendi facevamo io, Dho, Uht e Dhes! Sempre a loro vantaggio, ma era un piacere farsi circuire da quei tre marpioni.
Ma non potevo lasciarmi andare ai ricordi, dovevo concentrarmi sul presente.
D’un tratto il carro si fermò: Zena sussultò, Solfa gloglottò, io mi limitai a espirare annerendo un poco il bordo del carro, Prego giaceva immoto in una pozza di vino.
Voci in lontananza ci informarono che l’oste se n’era andato lasciandoci soli nelle cantine. Era tutto molto strano, avrei giurato che Fox ci avesse attirati con l’inganno per catturarci, portarci da Uht e destinarci a un’eternità di tormenti, invece dopotutto sembravamo averla fatta franca.
Scendemmo con circospezione dal carro e camminammo in punta di piedi fino alla porta della cantina, la via pareva libera. In silenzio muovemmo i primi passi nel corridoio e di colpo risuonò una risata che conoscevo fin troppo bene: “Har! Har! Har!” disse l’oste Fox mentre due dozzine di orchi ci circondavano: “Vi ho attirati con l’inganno per portarvi da Uht…”
“E destinarci a un’eternità di tormenti, chiaro.” Conclusi con sufficienza, mi ero rotta le scatole di recitare la parte della vecchia che parla in rima. “Tu non sei un vero oste, in realtà sei Dhes, il fratello minore di Uht!” aggiunsi colta da un’epifania.
Zena ringhiò di disprezzo, Solfa fece un acuto: “Noooo!”
“Proprio così!” rispose Dhes. Intanto gli orchi ci avevano fatto incamminare verso la sala grande del castello. “Pensavi forse di poter tornare in queste terre all’insaputa di Uht?”
“In verità mi sono unita a questa comitiva apposta per rivederlo.” risposi.
“Fai silenzio!” mi apostrofò brutalmente. “Ne parlerai con lui quando sarà il momento!”
Due minuti dopo entrammo nella sala grande, Uht era seduto sul trono avvolto in una vaporosa veste nera: era il momento.
“Tesla!” disse. “Vedo che non hai perso il tuo sguardo magnetico. Ti trovo davvero ben conservata.”
“Non è il più romantico dei complimenti, ma comunque lo apprezzo . Anche tu porti bene i tuoi anni, comunque sia.” Per Uht la conservazione era una vera ossessione, su wikipedia si diceva che per rimanere giovane impiegasse ogni giorno vapore acqueo surriscaldato per non meno di un secondo a 135°C.
Uht balzò giù dal trono, inciampò nella veste e rotolò lungo disteso, un dardo incantato partì dalle sue dita mandando a fuoco un tendaggio. Gli orchi accorsero per spegnerlo prima che l’incendio si propagasse a tutto il castello.
“Non sei cambiato Uht.” Dichiarai con tenerezza. “Alla tua età ancora corri dietro alle gonnelle! Perché hai rapito Penelope, figlia di Don Rodrigo? Forse per vendicarti di quando era padrone di Roccafiorita e tu servivi nelle sue stalle?”
Uht mi guardò con occhi vuoti. “Io non ho rapito nessuno.” Rispose perplesso.
“Stai mentendo! Baldo il servitore ci ha ingaggiati a questo scopo!” interloquì Solfa.
“Ah beh, se lo dice questo signor Baldo deve essere di certo vero…” commentò Uht.
“Non mentire Uht, tuo fratello Dhes mi ha detto che volevi riavermi al castello, non avrai organizzato una finta cerca solo per attirare me?” mi inserii indignata.
D’improvviso Baldo entrò di corsa da una porta laterale, tutto lercio di vino, doveva essere entrato con una delle botti: “Non è stato lui, sono stato io!” gridò verde di bile.
“E tu che diamine c’entri?” domandò Dhes spuntando da dietro una fila di orchi.
“Har! Har! Har!” rise il gobbo. “Sei proprio uno stupido Dhes, sono anni che vengo alla tua taverna spacciandomi per il servo di Don Rodrigo, ma dimmi un po’, tu l’hai mai visto in faccia il mio padrone? IO sono Don Rodrigo!"
“Papà!” gridò di colpo Zena togliendosi dalla testa il cappuccio e le finte orecchie a doppie punte. Poi, correndo verso Don Rodrigo, si inginocchiò a trattenerlo per le gambe “Perché sei venuto? A farti uccidere? Mi ero infiltrata di nascosto in questa finta missione per farla pagare al malvagio Uht che ti ha privato delle tue terre e del tuo castello!”
“Ma allora quale accidenti era lo scopo di questa finta missione? E io che c’entro in tutto questo?” sbottai.
“Nulla.” Prego apparve di colpo dal fondo del salone, completamente sobrio.
“Prego, eccoti finalmente, qui sta succedendo un gran casino!” cinguettò Solfa “Baldo in realtà è Don Rodrigo, Zena è Penelope e Fox è Dhes e io… non ci sto più capendo un cazzo! Ma si può sapere che cosa ci siamo venuti a fare, qui?”
“No Solfa, io non sono Prego, io sono…” iniziò il chierico.
“Dho!” gridò Uht “Lo sapevo che dovevi esserci tu dietro a tutto questo! Quindi sei stato tu a indurre Telsa a venire alla taverna, creando l’occasione a Don Rodrigo di fingere il rapimento della figlia per organizzare una cerca in cui lei poi si è infiltrata, contando sul fatto che io avrei fatto in modo che Dhes portasse dentro la compagnia per rivedere Tesla!”
“Har! Har! Har!” berciò Dho “Proprio così Uht!”
“Ma voi siete tutti matti!” proruppe Solfa poi si rivolse a me  “E tu chi accidenti sei in realtà? Non mi dire che sei semplicemente la nana Tesla perché a questo punto non me la bevo!”
“Calmati bardo” si inserì Uht con un cenno della mano, molto vicino ad adirarsi. “Cose gravi stanno accadendo in questa sala.”
“Non mi calmo per nulla!” rincarò Solfa. “La vostra storia non ha il minimo senso! Io racconto storie di professione, anche storie del cazzo magari, ma questa vi assicuro…”
“Ti ho detto di calmarti!” rincarò Uht con un cenno più deciso. Un dardo incantato da negromante di trentesimo livello partì accidentalmente dalle sue dita incenerendo Solfa all’istante.
Di colpo nella sala si fece silenzio.
Uht sospirò: “Mi spiace, bardo” commentò costernato scuotendo il capo.
“Accidenti Uht!” commentò Dhes avvicinandosi ai resti di Solfa. “Te lo dico sempre di mettere i ditali antidardo quando viene gente.”
“Lo so, hai ragione” ne convenne Uht avvicinandosi a sua volta. “Tu puoi farci qualcosa Dho? Se sei venuto per detronizzarmi, magari hai imparato qualcosa più di me…”
Dho pure camminò verso il mucchietto di cenere. Lo osservò per qualche istante, poi scosse il capo. “L’hai ridotto proprio male. Fosse rimasto almeno un po’ scheletro potevamo risorgerlo come non morto, ma così…”
Osservando i tre fratelli negromanti a discutere intorno ai resti del bardo e Penelope ancora avvinghiata alle gambe del padre, di colpo mi sentii di troppo.
Mi tastai il naso, al dissiparsi delle menzogne era tornato normale, l’irritazione aveva giusto accumulato la corretta dose di muco.
Augurandomi che il mio respiro di drago non mandasse in fumo l’artefatto, trassi di tasca il fazzoletto magico e mi strizzai il naso con solennità, prendendo un lungo respiro.
Mi aveva fatto piacere rivedere Uht e la sua banda di bricconi, ma era ora di farsi teletrasportare lontano, verso nuove avventure.


RINGRAZIAMENTI

Siamo giunti al termine di questa avventura e pensiamo sia doveroso ringraziare tutti gli autori che hanno partecipato e tutti i lettori che passando per il nostro blog si sono fermati a leggere le imprese di questo inusuale gruppo di avventurieri.

Grazie ancora!

Staff XOmegaP  ;-)

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