09 luglio 2008

PARTICOLARI 3: LA STAGIONE DELLE PIOGGE

Il Rifugio era un silo di cemento e duracciaio che penetrava per tre piani nel sottosuolo di New Earth. Dopo essersi sottoposto allo scanner della retina, l’uomo parcheggiò l’agravmobile nell’ampio garage al primo livello. Scese in tutta fretta dal veicolo e si recò al turboascensore che lo avrebbe portato ai livelli residenziali. Si trovava su New Earth da appena un mese e già odiava il più antico e borioso dei mondi della Prima Ondata; quel pianeta aveva in sé tutti i difetti dei mondi nati dalla prima fase della colonizzazione, quella effettuata dai governi terrestri e da essi guidata. I coloni avevano riproposto in grande scala le divisioni etnico – culturali presenti sul pianeta d’origine e così i trenta Vecchi Mondi si erano raggruppati in entità politiche per secoli tra loro divise e in lotta. Nel secolo precedente questi stati avevano trovato l’equilibrio nella Comunità di Mondi Indipendenti, in pratica un’area di libero mercato e mutuo soccorso.
Su una cosa solo i mondi della prima ondata erano stati concorsi: avevano riprodotto gli stessi errori ambientali già commessi dall’uomo sulla Terra. Le energie pulite, il controllo delle nascite e la capacità di creare in laboratorio qualsiasi materiale col procedimento della fusione nucleare avevano impedito l’avvelenamento dell’aria e l’impoverimento delle risorse. Ma gli umani non erano capaci di trattare i loro pianeti come ecosistemi complessi e si erano inventati una tecnica per controllare l’ambiente al fine di ottenere 365 giorni di bel tempo e clima mite a tutte le latitudini.
Ben diversa era la situazione sui mondi della Seconda Ondata. Quando quattro secoli prima la Terra, sfiancata da venti miliardi di abitanti, era divenuta inabitabile, una parte della popolazione si era distribuita nelle colonie della Prima Ondata, e un gruppo di irriducibili era rimasto sul pianeta per altri due secoli fin quando la situazione climatica li aveva costretti ad emigrare. Rifiutati dai mondi del CMI avevano colonizzato un piccolo pianeta, Tellus, dal quale si era formata l’Unione dei Mondi. Venendo da un pianeta distrutto dall’incuria umana i nuovi coloni avevano fondato la loro società sul rispetto degli eco – sistemi.
Ora lui, uomo dell’Unione su New Earth per lavoro, si trovava in quel rifugio perché il condizionamento ambientale degli uomini si era dimostrato un fallimento.
I problemi erano iniziati un secolo prima. Le forze climatiche che gli uomini imbrigliavano si erano fatte sempre più difficili da controllare e avevano iniziato a sfogarsi con cataclismi terrificanti. Inizialmente si era trattato di sfoghi indiscriminati, poi i tecnici avevano scoperto che un giorno o due all’anno di sfogo pilotato permetteva poi di controllare il problema durante il resto dell’anno. Erano nati così i rifugi e i cataclismi programmati. Nei decenni il numero di tempeste programmate era andato aumentando e ora, cinquecento anni dopo, le sirene suonavano per quasi tre mesi all’anno, in zone alterne. I costi di riparazione dei danni erano enormi e lo stesso valeva per la gestione del sistema dei rifugi cittadini e d’emergenza, come quello dove lui si trovava. Le Corporazioni Scientifiche sapevano che l’abbandono del condizionamento avrebbe portato a una catastrofe ambientale e tentavano di posticipare il problema per quanto possibile, in cerca di una soluzione che non veniva.
I mondi più giovani e meno compromessi della Confederazione avevano provato ad abbandonare per tempo il sistema di condizionamento ambientale ma avevano ricevuto minacce e divieti dai più antichi, New Earth in testa, che temevano la crisi economica se i loro principali partner avessero abbandonato la schiavitù del condizionamento ambientale. Vent’anni prima c’era anche stata una guerra tra Sirio e la CMI perché il governo di quel pianeta aveva abbandonato il condizionamento ambientale. I Confederali avevano usato bombe ad enzimi batteriologici e solo l’intervento della flotta di Tellus aveva permesso ai siriani di avere la meglio. Ora Sirio faceva parte della Federazione ma era teatro di sconfinamenti e provocazioni da parte dei Confederali.

Il turbo ascensore si fermò all’ingresso dell’area residenziale e l’uomo fu accolto da un droide, bipede e vagamente umanoide, si avvicinò. Il robot lo fissò negli occhi negli: quando era sbarcato sul pianeta i suoi dati erano stati raccolti in un database della sicurezza planetaria a riconoscimento retinale.
La voce metallica del robot ripeté meccanicamente: “Deean O. Kadark, nato a Erith il 4 luglio 4500, su New Earth per lavoro: può confermarmi i dati, signore?”
“Dati confermati”.
“Ben venuto nel rifugio. Il Rifugio 11.IV.53. Mi auguro che la permanenza qui sia gradevole”.
“Grazie”. Rispose lui, “Mi auguro sia breve” aggiunse tra sé, come se l’automa potesse offendersi per quella considerazione,

Era un rifugio di Terza Classe. Due livelli abitabili, mensa in comune, stanze singole con doccia, senza idromassaggio; aveva una piccola palestra e una sala per proiezione 3D.
Tutto era lindo e luccicante, tre androidi di forma umanoide stavano immobili nelle loro nicchie, pronti per servire gli ospiti ma anche per impedire che distruggessero il rifugio.
Il robot che lo aveva accolto lo guidò alla sua stanza. “Ci sono altri due ospiti, vuole alcune informazioni non riservate su di loro?”
“No, grazie: preferisco chiederglielo quando li vedrò, a cena”.
“Non vuole fare un po’ di esercizio fisico prima di mangiare?”
“Voglio solo fare una doccia”.
La stanza era piccola ma pulita. Il letto a repulsione gravitazionale aveva tutte le regolazioni principali, il piccolo bagno aveva un droide igienico. Non ci si poteva lamentare. Un display, proprio di fronte al letto indicava il trascorrere del tempo. Impiegò un po’ a connettersi al terminale: nella Federazione ogni adulto riceveva un’interfaccia bionica nell’area speculativa del cervello che permetteva un collegamento diretto con qualsiasi computer, previo riconoscimento delle autorizzazioni tramite retina e impronta celebrale. Nella Confederazione c’era una sorta di timore reverenziale verso qualsiasi impianto elettronico nella corteccia celebrare: i confederali si facevano impiantare versioni bioniche di qualsiasi organo, anche sano, solo per aumentarne le prestazioni ma avevano un tabù sugli impianti neurali. Dopo alcuni tentativi riuscì ad usare correttamente i comandi e a collegarsi col Consolato di Tellus su New Earth per avvertirli dove si trovava, la procedura standard per i cittadini della Federazione – i coloni come venivano chiamati dai confederali con un inflessione di disprezzo – che si fossero trovati su un mondo confederale durante una tempesta.
Deean si sedette poi su una poltrona di morbida plastica, che si modellò sul suo corpo e lo avvolse con un rilassante campo magnetico. si mise a vedere una vecchia soap opera registrata, all’holovisione. Sebbene il rifugio fosse perfettamente insonorizzato, poteva immaginare lo scrosciare della pioggia e l’urlare del vento. Paradossalmente il pensiero lo cullò e, stanco, precipitò in un sonno profondo.
Si svegliò di colpo dopo un tempo indefinito. Si guardò attorno spaventato, faticando cercando il display: aveva dormito trequarti d’ora. Che il tempo nel rifugio sarebbe passato lentamente lo sapeva, quello a cui non era preparato era la sensazione di oppressione che lo starvi chiuso dentro gli provocava. Voleva uscire. Doveva uscire.
“Devo uscire”, urlò, correndo fuori, verso l’area comune del rifugio. Non degnò di uno sguardo un vecchio e una ragazza che stavano discutendo nel salottino e corsi alla porta stagna che dava all’esterno. Vi era una grossa manopola circolare, come si trovava sulle navi; la girò con forza ma non si mosse. Sforzò ancora di più, senza ottenere nulla. “Maledetta !” imprecò. “Apriti, brutta figlia di cagna!”. Prese a calci la porta con violenza, finché uno degli androidi si staccò dalla sua nicchia e mi afferrò dolcemente, ma con fermezza, un braccio.
“Signore, la prego. Così rischia di farsi male. Si accomodi su un divano e si rilassi. Se dovesse avere qualche frustrazione di tipo sessuale il prototipo venus-89k potrà soddisfarle: etero, omo, sadiche e masochiste.”
Il tono pubblicitario che il robot usò lo fece sorridere, e si rilassò. Prima di lasciare Erith si era informato e conosceva la sindrome da tempesta, la crisi tipiche di chi doveva murarsi a tempo indeterminato sotto un rifugio. La porta veniva bloccata automaticamente al suono della terza sirena: ciò per impedire assalti al rifugio da parte di sbandati ritardatari, ma anche per impedire a chi era all’interno di fuggire fuori, verso la morte quasi certa, nel cuore della tempesta. Gettò un’occhiata a venus-89k, immobile, nuda, nella sua nicchia. Aveva curve sinuose e perfette, un pube lanoso e splendidi capelli biondi. Per un attimo fu sul punto di cedere, poi si ricordò che doveva essere uno di quei robot a struttura molecolare variabile. Se lui fosse stato una donna, il robot si sarebbe chiamato mars-89k e avrebbe assunto la forma di un fusto con un pene smisurato. Probabilmente era in grado diventare il partner delle sei o sette razze più diffuse nella galassia.
“Non sono ancora alla frutta!” disse ad altra voce dirigendosi verso i suoi compagni di avventura e salutandoli con un gesto del capo.
“Mi chiamo Deean, Deean Kadrak, sono un tecnico nucleare.”
“Mi chiamo Hoala, sono una maestra d’asilo. Ero in vacanza con una mia amica in un villaggio a pochi chilometri da qui, stavo facendo un’escursione e quando la sirena è suonata ero troppo lontana per tornare lì. Speriamo che duri poco!
“Salute, mi chiamo Goldan e sono un fisico nucleare. Lei non è di New Earth, vero?” si presentò l’uomo anziano, stempiato e grassoccio.
“Sono di Erith, nella Federazione. Mi ha tradito l’accento, vero?”
“Si, si vede che l’inglese non è la sua lingua madre”.
Nella Federazione si parlava un’evoluzione del latino: una scelta obbligata quando coloni di varie razze avevano deciso di fondare un’unica patria tra le stelle.
“Sono venuto dal mio mondo per fare accordi tecnologici con la ExEnt Corporation, lei per che compagnia lavora?”.
“Insegno all’Università Galattica di New Earth, le Corporazioni non fanno per me”.
“Conosce la ExEnt?”
“Chi non la conosce? Il casino che c’è la fuori è anche colpa loro”.
“Lei è contrario al condizionamento ambientale?”
“Il loro slogan è 365 giorni di sereno, ormai si sono ridotti a 220, tra un po’ avremo meno giorni di sereno di un pianeta non condizionato”.
“Lei cosa crede che bisognerebbe fare?” lo incalzò Hoala interessatissima.
“Chiuderci nei rifugi, abbandonare il condizionamento e lasciare che il mondo si sfoghi: secondo stime basterebbero una decina d’anni e tutto tornerebbe quasi normale”. Rispose Goldan.
“Voi non avete il condizionamento, vero?”. Chiese la ragazza. Era una figuretta dalla vita sottile e dai fianchi generosi. Il viso allungato le dava un aspetto irreale, probabilmente ottenuto con decisi interventi di chirurgia plastica.
“Dio ce ne scampi! – si lasciò sfuggire Deean – non lo abbiamo mai voluto, lasciamo che il nostro clima lo faccia la natura. Siamo in pochi e abitiamo solo le zone più miti dei nostri paesi”.
“La Federazione ha fatto una guerra per impedirci di imporre il condizionamento a Sirio” aggiunse il vecchio – “su questa cosa sono fissati”.
“Ad ognuno la sua fissazione”. Tagliò corto Deean: meglio evitare che la discussione degenerasse.
“Sono d’accordo”. Rispose Goldan pacato. Aveva il volto rubicondo e glabro. “Vado nella mia stanza con venus-84k…giusto per passare il tempo”. Si alzò e andò ad una delle nicchie, ripartendone con la bella donna di metallo che gli caracollava dietro.
“Io preferisco restare qui”. Borbottò Deean.
“Anch’io”. Confermò Hoala. “Se vuole un consiglio vada, resterebbe stupito. Mio marito mi ha lasciata aveva lasciata ed ero disperata. Così mi sono rivolta a un robot...ma ora va molto meglio”. Aggiunse quasi scusandosi.
Deean sorrise impacciato. Nella Federazione i droidi umanoidi erano vietati. Era proibito ogni oggetto tecnologico o costume che violentasse l’ordine naturale delle cose. La Confederazione, al contrario, non riusciva ad impedirsi di violare ogni legge del cosmo. Erano incorreggibili.

L’allarme suonò sulla porta. Sullo schermo apparve l’immagine di una donna che chiedeva disperatamente di entrare. Intorno a lui la pioggia cadeva a secchiate, mista a grandine e il vento spazzava gli alberi con violenza. Deean sapeva che era spacciato. Quando le porte erano chiuse non potevano essere riaperte.
“Poveraccia”. Commentò. Capiva che non c’era un sistema diverso e del resto tutti sapevano con anticipo i giorni di tempesta. Però, era un essere umano e gli dispiaceva. Pregò Dio di avere pietà della sua anima.
Hoala, invece, diede in escandescenza. “Harla! Harla!”. Corse verso la porta e tentò di forzarne la maniglia. D’istinto Deean corse verso di lei. Fu più lesto uno degli androidi che la braccò e con gentilezza, ma senza ammettere repliche, la trascinò lontano.
“Mi spiace, signora, lei sa che non possiamo più aprire”.
“Brutto bastardo!”. Ringhiò la ragazza, stupendo Deean con il tono rabbioso della sua voce, che stonava con la sua figuretta. “La mia Harla! Devo salvarla! La amo!”. Detto questo, Hoala si divincolò dal droide ed estrasse un fulminatore dalla borsetta, spianandolo verso il robot.
“Come diavolo ha fatto ad entrare con un’arma!”. Gridò Deean, mentre la luce della stanza si faceva scarlatta e si riempiva del lamento ossessivo di un allarme rosso. “Abbassi il fulminatore”. Disse Deean. Sapeva che il droide non avrebbe esitato ad ucciderla, perché dalla chiusura della porta dipendeva la vita di due esseri umani, più importanti di quella di un solo essere umano.
“Non posso!”. Pianse lei.
“Harla è la mia amata! Lei mi ha salvato dalla disperazione... doveva essere al sicuro al villaggio. Non so perché è venuta qui...avevamo litigato e io avevo fatto da sola l’escursione, per questo...”. Mentre piangeva la pistola le tremava nella destra, il braccio si dimenava negli spasmi della tensione.
Di fronte a lei, il droide la scrutava gelido. Se lei fosse stato un pericolo per il rifugio l’avrebbe uccisa. Se fosse rimasta così, al robot sarebbe bastato. Con la coda dell’occhio Deean vide che Harla era sparita dallo schermo, risucchiata dalla tempesta. Sperò che Hoala non se ne accorgesse.
Attirato dall’allarme scese anche Goldan, scosso per aver dovuto interrompere il suo pomeriggio di divertimento con venus-84k. “Cosa diavolo....”.
“Fuori c’era una sua amica che tentava di entrare”. Spiegò Deean.
“Maledetto condizionamento ambientale”. Imprecò l’uomo. “Il governo dovrà prima o poi rispondere di tutte queste morti”.
Un colpo di fulminatore distrasse i due dalla loro conversazione. “Nooooo!” Gridò Deean mentre l’esile corpo di Hoala cadeva a terra. La mano lasciò andare la pistola che si era puntata alla tempia. Il viso di lei era bruciato dalla scossa elettrica del folgoratore. Tutto sommato, però, era sereno.
Il droide non ebbe un attimo di esitazione e si mosse per raccogliere il corpo. Lo portò via senza dire una parola. “Ora manderà i suoi dati al controllo demografico”. Spiegò Goldan. “Poi la cremerà, per evitare epidemie qui dentro”.

La pioggia e la tempesta cessarono due giorni dopo. Come sempre accadeva nei mondi sottoposti al condizionamento, essa smise di colpo, senza preavviso. I due uomini erano rimasti chiusi nelle rispettive stanze a vedere la TV tridimensionale e leggere l’ampia video-biblioteca del rifugio. Si vedevano solo per i pasti, chiusi nel silenzio che era calato sul rifugio dopo la morte di Hoala. La polizia avrebbe certamente aperto un’inchiesta sul perché la donna fosse riuscita ad entrare con un fulminatore nel rifugio. La stampa più indipendente avrebbe lanciato i suoi strali contro il condizionamento ambientale. Tutto si sarebbe sgonfiato.

Quando la porta si spalancò Deean assaporò l’aria umida che annunciava la quiete dopo la tempesta. Visto che c’era scappato il morto, bisognava attendere la polizia al rifugio. Di morti, in realtà, ne erano scappati dure. Il cadavere di Harla, gonfio e deformato, giaceva in un canale di scolo allagato poco fuori dal rifugio. La sua pelle era pallida e un ghigno di paura le deformava il viso, che un tempo forse non era stato brutto. Tra le mani, irrigidite dal rigor mortis, stringeva convulsamente un involto, protetto da una cerata. Aveva una forma irregolare. Senza sapere perché, Deean, fu preso dall’impulso di raccoglierlo.
“Mi aiuti”. Disse a Golan.
Si immerse nel fango sino alla vita e lo estrasse, con l’omone che lo teneva per la mano. I droidi li osservavano inespressivi. Rientrarono e Deean si cambiò d’abito facendo una doccia. Poi, sul tavolo della sala comune, aprirono l’involto.
Restarono di sasso.
All’interno c’era una scatola di simil-cartone piuttosto dozzinale, di quelle da mercatini. Quando l’aprirono videro un oggetto che apparteneva alla preistoria della loro civiltà. Un orologio a cucù, di quelli che si attaccavano alla parete, con rumorosi ingranaggi che facevano uscire un uccellino a segnalare col suo verso meccanico il passare delle ore. Era color lilla e irrimediabilmente rotto, inzuppato e rovinato. All’interno della scatola c’era anche un secondo involto di plastica che conteneva una lettera, scritta con la calligrafia svolazzante tipica delle donne. Era nella lingua della Confederazione fu Goldan a leggerlo e tradurlo a Deean.

“Ciao amore mio.
Perdonami se ti ho fatta soffrire. Non volevo ma l’ho fatto. Ho trovato questo bellissimo oggetto al mercatino di Tjalh. È antichissimo, dell’epoca pre-spaziale. So che adori queste cose che stuzzicano la tua sensibilità. Questo regalo non cancella l’errore che ho fatto. Spero, però, che aiuti a lenirne gli effetti.
Un bacio, tesoro mio.

HaRLa-035
Costruita a New Earth City negli stabilimenti In.Ro.”.
Deean si sedette sconsolato sulla sedia che aderì perfettamente al suo corpo. Era un droide. Hoala che era stata tradita dal marito aveva avuto una storia con un droide femmina. Quel droide aveva compreso di averla ferita per qualche cosa che loro mai avrebbero compreso e si era messo in cerca di un dono per farsi perdonare. La logica della macchina era ferrea e nemmeno la tempesta l’aveva fermata mentre tentava di portare il dono alla sua padrona che, per la macchina, era anche la sua amata. Quella logica ferrea che forse aveva fatto litigare Harla e Hoala, aveva anche ucciso il robot e con esso la sua padrona. L’uomo della Federazione si mise le mani sul volto e pianse singhiozzando.



AUTORE - GABRIELE