30 ottobre 2005

DIECI GIORNI AL BARBACANE

Il giorno in cui mi mandarono al barbacane non ero mai uscito dalla Città del Crepuscolo. Fu un ufficiale di complemento a condurmi alla costruzione che si trovava pochi passi fuori dalle mura. Mi disse: -Domani le porte della città verranno aperte. Comincerà ad arrivare gente, il suo compito è contarli.-
-Perché?- chiesi.
-Per sapere quando saranno arrivati tutti.- rispose.
Guardai verso la pianura che si stendeva deserta e a perdita d’occhio, mi sembrava impossibile che da lì potesse mai giungere qualcuno.
Il secondo giorno cominciarono ad arrivare. Erano mendicanti e straccioni di molte razze diverse. Camminarono attraverso le fauci spalancate della città col loro passo lento e cadenzato, senza mai fermarsi o voltarsi. Alla sera l’ufficiale apparve ad una feritoia e mi chiese quanti ne fossero giunti.
Io aprii il grande libro in cui avevo annotato ogni arrivo. Ne erano giunti 87.
–Domani riprenda il conteggio da dove l’ha lasciato.- mi ingiunse.
Il terzo giorno erano molti di più. Qualcuno ben vestito, altri selvaggi. Ognuno sembrava viaggiare solo, nessuno curarsi degli altri. Ne contai 1110. Attesi il millecentoundicesimo fino a notte inoltrata, ma non venne. Arrivavano solo di giorno.
La notte vegliai nel barbacane chiedendomi quale fosse il significato di tutto ciò, senza essere in grado di darmi una risposta. Osservai a lungo le mura della città alla luce della luna. Erano così alte che sembravano sparire nelle nuvole.
Il quarto giorno giunsero come una marea. Uomini di ogni rango, razza ed epoca. Ittiti ed astronauti. A fine giornata si era creata una specie di strada a causa dello strascichio dei loro piedi. Mi chiedevo da dove venissero, non sembrava esserci un luogo abbastanza vicino da essere ragguingibile a piedi. Vedevo apparire i primi all’alba lontano. Gli ultimi varcavano la soglia della città quando il sole scompariva all’orizzonte tra la bruma.
Il quinto e il sesto giorno la marea continuò ininterrotta. Dalla mattina alla sera, ad ogni istante intravano in città a tre dozzine alla volta. Ogni minimo granello della mia concentrazione era assorbito dal conteggio. All’inizio, non sapendo cosa mi aspettasse, segnavo sul libro mastro ogni singolo arrivo, ora li appuntavo a centinaia per volta. Ogni sera, dopo l’ultimo raggio di sole, l’ufficiale mi chiedeva rapporto. Io snoccilavo le mie cifre da perfetto contabile.
Il settimo giorno mi fu chiaro che la marea aveva smesso di montare ed era cominciata la risacca. L’ottavo giorno non ne giunsero nemmeno duemila.
Eravamo a 10 miliardi 452 milioni 798 mila 114.
-Ci siamo quasi.- disse l’ufficiale controllando su un registro.
Il nono giorno giunsero 129 anime. Quasi tutte al mattino, nessuna nelle utilme tre ore prima del tramonto.
-10 miliardi 452 milioni 798 mila 243.- lessi la sera all’ufficiale.
-Ne manca uno.- disse lui.
Il decimo giorno che passai al barbacane il sole non sorse. Già per questo mi parve ovvio che non sarebbe venuto nessuno. Molte ore dopo, un tempo che in quella notte perenne mi parve infinitamente lungo, mi fu chiesto di dar conto per l’ultima volta.
Io ripetei il medesimo numero del giorno precedente.
-Ne manca ancora uno.- commentò l’ufficiale con arguzia –Ci deve essere stato un errore nel suo calcolo.-
-Ne dubito.- risposi con voce gutturale.
-E’ per forza così. Devo dare ordine di chiudere il portone.-
Così fece. Dentro la Città del Crepuscolo si accesero le fiamme infernali. Ora mi era tutto chiaro. Il mondo era finito e l’eterno supplizio del’umanità cominciato. A nulla valeva, per gli inflessibili burocrati dell’inferno, che al conteggio delle anime una ne mancasse all’appello. Un errore. Doveva esserci stato un errore nel conteggio. Come se un’anima potesse evaporare perdendosi nel nulla o ancora più assurdamente passare sotto i miei occhi inosservata.
No, non c’era alcun errore. Banalmente, e all’apice della loro stupidità, avevano lasciato fuori me.
Uscii dal barbacane e mi soffermai a guardare il cielo privo di astri.
Poi dispiegai le mie ali membranose e balzai nel cielo ad ammirare il silenzio supremo del mondo ormai vuoto.

AUTORE - MAX

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Non mi e' piaciuto molto.
L'idea e' buona, ma sembra quasi scritto di fretta, molto asciutto.
Si iniziano ad avere sospetti di come va a finire prima della fine. (il primo l'ho avuto a "ittiti ed astronauti")

PS per tutti: proprio e' un filone che non vogliamo abbandonare, eh? :P
Ma se alla fine montassimo un'antologia di racconti apocalittici...

Anonimo ha detto...

Non dei tuoi migliori ma comunque l'idea è carina.

Non so perchè ma mi aspetto che succeda qualcosa in un prossimo futuro.
Lui solo in un mondo vuoto...

Sara ha detto...

L'idea è bella, ma sei stato un po' avaro di descrizioni e di particolari che lo avrebbero reso più completo.

Anonimo ha detto...

Il fatto è che ho scritto il racconto (anche) per mandarlo a un concorso che si chiama '666 passi nel delirio', con il limite appunto di 666 parole. E comunque mi sto appassionando alla scrittura di racconti lampo, è abbastanza difficile, ma stimolante, secondo me. Ovviamente le descrizioni ne risentono...

Anonimo ha detto...

Carino ma un po' asciutto.
Ovviamente un racocnto lampo non fa per me...
Il filone angelico e demoniaco tira molto, se ne potrebbe fare un gioco di ruolo...

Anonimo ha detto...

Dieci giorni al barbacane:
Sinossi: Un uomo viene messo a contar gli arrivi in città. Città che deve essere enorme perché riesce ad ospitare più di un miliardo di immigrati. Nulla può la Bossi- Fini per controllare l’esodo.
Commento: Chiaro tributo al Deserto dei Tartari. Suggestiva la descrizione dell’esodo e la penuria della vita di un contabile. Peccato il finale dove si mette al fuoco troppa carne, mentre era sufficiente la buona idea del piccolo errore rispetto all'enorme conteggio.
Morale: chi conta non conta.

Anonimo ha detto...

Hmm... troppa carne al fuoco dici? Era meglio finirlo con la frase '...avevano lasciato fuori me'? L'idea non è malvagia. Quanto al "deserto dei tartari" hai perfettamente ragione.