Raphael guida nella notte, senza eccessiva fretta.
Il catorcio che spaccia per la sua automobile tossicchia su e giù per le asperità della strada come un puledro tubercolotico che ha urgente bisogno di qualche mese in sanatorio.
Neanche un’anima in giro per quelle stramaledette montagne. Ha incrociato si e no cinque auto da quando si era messo in viaggio. Pedoni nemmeno a parlarne.
Raphael, che nella vita di tutti i giorni si fa chiamare più banalmente Raffaele, si è trasferito da quelle parti perché è un vampiro esistenzialista; perché ama la natura e il rumore terrificante della città diurna gli aveva regalato una specie di insonnia cronica; perché desidera ardentemente poter vivere in un qualcosa che somigli anche solo vagamente ad un castello, una maniero o almeno una casa di campagna… e non di meno perché i vampiri di tutte le città vicine gli hanno giurato un eternità di tormenti se mai si rifarà vivo. Anzi, non morto.
Tutta colpa di quel fottuto incidente con i pannelli solari. Insomma… lui aveva questa idea romantica che fosse il sole in quanto tale a ridurre in cenere i vampiri… come poteva anche solo immaginare che il materiale dei pannelli trattenesse parte della radiazione e che… beh, le conseguenze di queste cose, si sa, non sono belle.
Quindi eccolo lì Raphael, l’unico vampiro sulla faccia della terra con la forfora (inspiegabile data l’assenza di ricambio cellulare), a vagare per quei collinoni che solo chi ci vive si azzarda a chiamare montagne e rispondono al nome di Appennini. Dieci giorni che non mangia, un anno e mezzo che non scopa: lui pensa a questo periodo della sua non morte come delle vacche magre, solo una fase. Poi verranno quelle grasse, si spera, magari quando in città smetteranno di parlare di lui come se fosse il sosia cainita di Vanna Marchi.
Incappa per caso nella ragazza, quasi la investe.
E’ in piedi ferma sul ciglio della strada dietro una curva cieca, e già da questo si capisce subito che o è strafatta di qualche droga o è una spostata.
Quale che sia il caso per Raphael va bene comunque, questo la rende una preda facile, con un po’ di fortuna anche disponibile.
Inchioda una ventina di metri avanti a lei, cautamente fa retromarcia: fare un incidente in quel momento sarebbe alquanto seccante. Lei muove alcuni passi malfermi verso l’automobile, suggerendo un tasso alcolico ragguardevole.
-Ciao,- le dice Raphael –hai bisogno di un passaggio?-
-Grazie.- mormora lei con un filo di voce.
Raphael le apre la portiera temendo che da sola non possa farcela. Lei si accascia sul sedile del passeggero poi si volta verso di lui. –Potresti portarmi a casa?- mormora con un filo di voce.
Lui la guarda meglio e nota che è decisamente carina: occhi verdi, labbra carnose e pelle chiara. Un caschetto di capelli neri, complessivamente prosperosa.
-Non è lontano.- aggiunge lei guardandolo negli occhi con una strana, presumibilmente alcolica, intensità.
-Certo.- risponde lui –Devi solo indicarmi la strada.-
La casa appare agli occhi di Raphael da dietro un folto d’alberi, pochi metri dopo avere imboccato lo sterrato. Si trovano in una zone che non ha mai battuto, e ciò è strano perché fino a pochi istanti prima il vampiro riteneva di conoscere ogni singolo metro quadro di quei monti.
Procedono lentamente, perché la carreggiata è una tale distesa di buche enormi da sembrare meteorizzata. Già da una certa distanza Raphael si accorge che l’edificio se proprio non è diroccato presenta quantomeno chiari segni di disarmo, a partire dal cumulo di rottami di macchinari agricole che si trovano sul lato destro del piazzale antistante il cascinale.
-I tuoi genitori sono in casa?- indaga Raphael con tono equidistate, ha la netta impressione che nessuno che possa definirsi genitore potrebbe accettare di vivere in quel postaccio. Quasi certamente ha occupato quella casa disabitata dopo essere scappata di casa.
-Vivo sola.- mormora lei talmente piano che per Raphael, nonostante i suoi sensi acuti da vampiro, le parole sono più che altro un’impressione sonora.
Ora che è giunto nel piazzale altre cose balzano agli occhi del cainita, la casa porta in effetti alcuni inequivocabili segni del suo essere abitata. In primo luogo le persiane del primo piano: sono tutte ben chiuse e per quanto scrostate non sembrano poi così male in arnese, stesso discorso per la porta. Inoltre da due finestre del piano superiore degli striminziti gerani annaspano in vasi agganciati alla bell’e meglio al davanzale. C’è poi una stalla sulla sinistra della casa con un piccolo recinto il pieno di fieno che da lascia l’impressione di essere ancora utilizzata.
Raphael ferma la macchina.
-Eccoci arrivati.- dice.
-Grazie.- dice lei talmente piano che la sua voce si perde nel frinire delle cicale. E mentre lei gli rivolge un altro sguardo incredibilmente intenso, Rapahel viene quasi colto dalla tenerezza. Arriva a pensare che se solo fosse ancora vivo si potrebbe addirittura innamorare di quella onirica apparizione. In un rigurgito di cavalleria arriva a persino a formulare il pensiero che nonostante la fame potrebbe persino decidere di non approfittare del suo sangue e della sua (dubbia) virtù.
Ma è solo un brevissimo istante, anche perché in quello successivo contro ogni pronostico è lei stessa a chiedergli, timidamente: -Vuoi venire dentro un attimo?-
Rapahel senza esitare un millisecondo di più spegne la macchina e scende. Anche perché poi, riflette, sputare nel piatto quando il padrone di casa te lo offre non è nemmeno buona educazione.
L’aspetto dell’interno dell’edificio è coerente con l’impressione che se ne ricava esternamente. La porta principale si apre su un lungo corridoio le cui porte di sinistra sono chiuse a chiave mentre l’unica porta sulla destra da su una cucina.
-Ti va qualcosa da bere?- chiede la ragazza conducendolo dentro.
La cucina è spaziosa e presenta numerosi indizi del suo inutilizzo. Da una parte c’è un lavandino invaso dal calcare e un fornello a quattro fuochi macchiato per metà da una sostanza amorfa, presumibilmente grassosa, che in tempi immemorabili deve essersi bruciata in loco fuoriuscendo da una pentola. Sopra a questo paradigma di squallore ci sono dei mobiletti umidi il cui arcuarsi al centro rivela chiaramente, sotto un impiallacciatura bianca sbeccata, il cuore di truciolare. Dall’altra parte della stanza una vetrinetta imbarcata che, se fosse giunta a quei giorni in un migliore stato di conservazione, avrebbe potuto persino avere un valore antiquario. Le ante di vetro rivelano il suo essere semivuota e numerosi e regolari mucchietti di polvere di legno la identificano come dimora d’elezione dei tarli di casa. Al centro della stanza c’è un tavolo di legno grezzo con tre sedie e in un angolo un frigorifero pare essere l’unica cosa ancora in uso. Al fianco di quest’ultimo una tenda tirata davanti al vano di una porta rivela una stanza attigua.
-Qualcosa da bere? Volentieri.- risponde Raphael maledicendo il pensiero che tutto ciò che gli toccherà mandar giù per rendere più credibile quella prima parte del “corteggiamento”, poi nel suo stomaco andrà ad annacquare il sangue della sua vittima.
-Vino?- chiede la ragazza, ora che è a casa sua pare molto meno spaesata.
-Non avresti magari qualcosa di analcolico?- chiede Raphael sulle spine, da qualche anno a quella parte se beve alcolici prima di nutrirsi si sente poco bene, due volte ha addirittura finito per rimettere tutto quanto. Hai voglia far cicatrizzare per bene i morsi nel collo della vittima in modo che non ricordi più che cosa è successo, se poi vomiti il suo sangue sul pavimento nel suo appartamento. La prima volta che gli era capitato era stato proprio un bel casino, la seconda almeno era riuscito ad arrivare fino al cesso.
La ragazza lo guarda per un istante smarrita, come se la cosa la mettesse in grande difficoltà: “Mamma mia deve essere proprio alcolizzata all’ultimo stadio se non ha nemmeno qualcos’altro in casa.” Pensa Raphael.
-Anche acqua del rubinetto va bene.- dice per cercare di venirle incontro.
Lei annuisce e prende vita di colpo. Toglie nervosamente un bicchiere dalla credenza e, dopo un istante di esitazione, apre il rubinetto del lavandino. Un rombo lontano annuncia che la teoria dei vasi comunicanti e alcuni altri oscuri principi della fluidodinamica si mettono al lavoro su tubature ferme da un secolo. A poco a poco il rombo si avvicina diventando più acuto, finchè non esita in un filo di liquido melmoso color ruggine.
-Io di solito uso l’acqua del pozzo…- si giustifica la ragazza –Se hai molta sete te ne vado a prendere un po’.-
-Non importa.- dice Rapahel.
-Aspetta, devo avere della coca cola nello stanzino.- e scompare attraverso la tenda che si trova di fianco al frigorifero.
La ragazza torna un istante dopo, prende due bicchieri e si appoggia sul tavolo per aprire il bottiglione di plastica. Sinistramente la bottiglia non emette il classico sibilo dovuto alla sua natura gassata, a livello inconscio Raphael registra che l’etichetta sembra essere di un tipo in disuso da almeno dieci anni.
Ma Raphael non ci bada, accosta il bicchiere alle labbra e beve un primo sorso microscopico. Fa cagare. Se prima aveva poca voglia di bere ora gli è proprio passata del tutto. La ragazza esita con il bicchiere in mano, c’è in istante di silenzio imbarazzato.
-Come mai vivi tutta sola in questa casa così grande?- chiede Raphael sfiorando vette di banalità quasi inarrivabili.
-Era la casa dei miei genitori.- risponde lei. Poi con un’espressione di leggera sofferenza butta giù il liquido tutto in una volta -Senti… - aggiunge ritrovando la timidezza del primo istante della loro conoscenza –Avresti voglia di venire a vedere la mia camera la piano di sopra?-
Raphael posa il bicchiere. Ha talmente tanta fame che nemmeno lo sfiora l’idea che questa conquista si sta rivelando fin troppo facile.
Le scale finiscono su un altro corridoio simmetrico al primo. Anche qui tutte le porte delle stanze sono chiuse tranne una. La stanza in cui la ragazza porta Raphael mostra più o meno lo stesso coefficiente di squallore della cucina al piano sottostante. La prima cosa che Raphael nota è che si trova nella stanza alla cui finestra sono appesi quei tristi gerani che aveva scorto dal cortile. Per il resto la stanza è quasi spoglia e abbastanza polverosa. In un angolo c’è un letto a una piazza e mezzo, sul fondo della stanza un armadio anni quaranta di quelli pensati per persone che avevano in tutto tre vestiti. Se non fosse già stato abbastanza chiaro ora è del tutto ovvio in quella stanza non c’è assolutamente nulla da vedere.
La ragazza bacia Raphael sul collo mentre ancora sta analizzando la stanza.
Qualche secondo dopo sono già seduti sul letto. Un minuto e hanno cominciato a spogliarsi a vicenda. Due e si sono messi in posizione orizzontale.
“E’ il momento” pensa Raphael, il momento per un primo piccolo morso. Un morso della cui natura lei non si accorgerà nemmeno, proverà solo un brivido una vertigine sensuale.
Dolcemente si avvicina al suo collo…
…rapida come un cobra la ragazza gli si attacca alla giugulare e comincia ad aspirare come una sanguisuga.
-Ehi! Che cazzo fai!? Staccati! HO DETTO STACCATI, CAZZO!- grida Rapahel e grazie alla sua forza da vampiro salta giù dal letto, le ragazza avvinghiata come un parassita. Le prende la testa e gliela rovescia all’indietro facendo uscire i denti di lei dal suo collo.
Lei lo guarda con occhi spiritati e dice: -Ma tu sei… anche tu sei… un vampiro!-
Lui la guarda incazzato. A quel punto lei ha quasi una crisi isterica.
-Ma non è possibile! E’ già la seconda volta che mi capita questo mese! Ma non c’è più nessuno di vivo in questa fottute montagne?-
Lui sospira. Lei dopo lo sfogo riprende le staffe, gli si avvicina e guarda i segni dei suoi denti sul collo di lui: -Mi spiace. Ti ho fatto male?-
-Ma figurati, e poi in fondo è colpa mia… una ragazza che fa l’autostop sbronza, mi porta a casa sua e mi vuole a tutti i costi scopare… avrei dovuto insospettirmi.-
Lei lo guarda con un faccia strana, arretra di un passo come accusando un colpo e gli rimette addosso. Raphael, basito, rimane impassibile. Lei si inginocchia, con un altro conato rimette il resto della coca cola: -Che schifo…- riesce a dire – Era avariata…-
“Questa qui è veramente un disastro.” Pensa Rapahel.
Un’ora dopo, dopo aver ripulito la stanza e fatto l’amore i due vampiri chiacchierano sdraiati nudi sul letto. Lei finalmente si è presentata come Kira o, per il mondo dei viventi, Chiara. Raphael è tutto sommato abbastanza soddisfatto, il pasto si è dileguato, ma almeno sta passando una bella nottata.
-Ma questa è davvero casa dei tuoi?- chiede Raphael.
-Era casa dei miei nonni, ma è abbandonata da almeno vent’anni.- risponde lei.
-Come mai sei venuta qui?-
-Il mio padre vampiro s’è beccato il frassino due ore dopo avermi iniziato: un regolamento di conti. Io ho capito subito che per i suoi adepti non era aria.-
-Beh un po’ si vede che sei stata lasciata a te stessa. Quant’è che sei dei nostri?-
-Un anno e mezzo. E tu?-
-Quarantatrè anni a ottobre.-
-Accipicchia. Comunque intendevo “Come mai bazzichi le montagne?”-
-Come te, per salvarmi il culo. Avevo una piccola attività di vendita di pannelli solari, sai com’è, a volte i vampiri hanno problemi con le infrastrutture e mi sembrava che rendersi indipendenti per l’energia elettrica potesse essere una buona idea. All’inizio ho incontrato una certa resistenza, tutti a chiedermi se non erano pericolosi eccetera eccetera, ma poi la cosa si era avviata abbastanza bene.-
-E poi che cosa è successo?-
-Un mio cliente, che faceva parte di una famiglia potente, è salito sul tetto immediatamente dopo il crepuscolo e ha avuto la malaugurata idea di saltare sui pannelli.-
-E’ rimasto ferito?-
-Incenerito. C’era vento e un suo lacchè ci ha rimesso pure una mano per cercare di salvare i resti del padrone. Non c’è riuscito.-
-Mamma mia che brutta fine.-
-Davvero. Come immaginerai ho pensato che fosse meglio tagliare l’angolo prima che qualcuno decidesse di venirmi a chiedere spiegazioni.-
Per un istante i due restano in silenzio, in lontananza si ode un muggito.
-Coltivi gerani?- chiede Raphael guardando oltre la finestra.
-Ci provo, ma mi sa che non ho più molto feeling con le cose vive, non capisco più bene le loro esigenze.- risponde Kira.
-Anche questa casa sarebbe molto bella se le dessi appena una sistemata. Hai il frigorifero… come fai ad avere la corrente?-
-Mi sono allacciata clandestinamente. Sono perita elettrotecnica.- risponde lei, poi timidamente aggiunge -Si sta facendo tardi, vuoi rimanere qui fino a domani notte? C’è molto spazio nella cantina dove dormo io.-
-Lo farei volentieri, ma sono dieci giorni che non mangio, ho bisogno di andare a cacciare almeno un animale.- dice lui.
-Ho una mucca nella stalla. L’ho rubata a un contadino che vive a quattro o cinque chilometri da qui. La tengo per i periodi brutti. Se ci stai attento un po’ ti puoi sfamare.-
Il bovino è una vecchia frisona dall’aria macilenta e, Rapahel pensa, sembra la rappresentazione vivente di quel periodo di vacche magre della sua vita.
E’ evidente che la scarsa comprensione per le creature viventi di Kira si estende anche all’animale.
A occhio e croce la vacca non sembra in grado di tollerare più di mezzo litro di drenaggio, Raphael decide si assestarsi sui 350 ml circa, il minimo indispensabile per placare il buco enorme che ha nello stomaco. Il sapore fa abbastanza schifo, ma è sempre meglio di quello selvatico di certi animali del bosco che in più sono pure pericolosi.
Poi ha l’illuminazione. Una delle sue idee balzane, tipo quella dei pannelli solari.
Forse se avesse abbastanza vacche potrebbe provare a selezionare una razza con un sangue dal gusto gradevole per un palato vampiro. Quanti problemi si risparmierebbe a quel punto la loro società.
Ci vorrebbe un sacco di tempo, certo, ma se non arriva fin lì qualche sicario lui ha praticamente tutta l’eternità. E poi lui e Kira già si piacciono, è evidente.
-Ascolta –le dice rialzandosi dal collo dell’animale –Mi è venuta un’idea.-
AUTORE - MAX