Nessuna voce. Nessuna parola.
L’ambiente riecheggia del rumore dell’acciaio che cozza contro altro acciaio.
L’aria è sferzata da fendenti parate e affondi. Poi, come se una magia avesse fermato il mondo, tutto tace. Tutto è immoto. La vita riprende solo nel momento in cui esce dal corpo di uno dei due contendenti. La vita scorre in quel fluido, caldo e rosso, che fuoriesce dallo squarcio alla gola. Niente rimorsi. Niente rimpianti, solo odio. L’odio di una vendetta ormai finita. L’odio che per anni ha dato forza al suo animo. L’odio che si è fuso all’amore, in eterno racchiuso nella lama di suo padre. La lama che ha perpetrato la loro vendetta…
Nel tepore della fucina si sentiva a casa. Riparato e al sicuro come quando da piccolo si nascondeva nel grembo di sua madre. Il fuoco della forgia aveva il potere di ipnotizzarlo. A volte, mentre batteva il rosso acciaio, alzava lo sguardo e nel tempo che impiegava a detergersi il sudore dal viso gli capitava di rimanere incantato da quella danza cremisi. perdendosi in lunghi pensieri. In ricordi lontani estremamente vividi. Il fuoco aveva il potere di rapirlo completamente.
Il suono di un campanello lo strappo alle sue considerazioni riportandolo alla realtà. Qualche cliente era entrato nella bottega. Con passo svelto lasciò la fucina oltrepassando la piccola porta in legno che divideva i due ambienti.
“Buongiorno mastro Andrea!”
“Buongiorno a lei Signor Rupieri! Mi dica, in cosa possa aiutarla?”
“Vede mastro Andrea, giorni fa, feci fare alcuni scavi nei pressi di una vecchia chiesa di campagna su uno dei miei poderi. Durante gli scavi venne ritrovata una vecchia cripta al cui interno, ancora stretta nella mano del suo presunto proprietario fu ritrovata questa…”
Rupieri appoggiò sul bancone un involto di tessuto legato agli estremi da un paio di nastri di spago.
Sciolti i nodi e aperti i due lembi di panno si scopri che l’involto non era altro che il sudario di una splendida spada.
Dal tipo di fornimento la spada poteva risalire all’incirca alla seconda metà del XVII secolo. Vari rami d’acciaio intrecciati con oro secchino e argento si univano, infittendosi sempre più, a creare una schermatura per il dorso della mano. Altri rami sembravano partire dalla stessa lama e con flessuosità paragonabile alle spire di un serpente, si fondevano creando l’elsa. Il pomo, una specie di gabbia con la forma di un fiore ancora chiuso, dava l’idea di proteggere all’interno dei suoi petali un bene prezioso. La lama, leggermente ossidata, era lunga all’incirca ottanta centimetri e percorsa nella sua interezza da un motivo arabesco.
“Veramente un capolavoro!” Escalamò Andrea.
“Sapevo che avreste apprezzato” disse Rupieri sfoggiando un ampio sorriso.
“Voi siete l’unica persona a cui potevo affidare il restauro di questo antico gioiello. Una volta che il vostro lavoro sarà finito e la spada sarà tornata al suo antico splendore la regalerò al nostro museo. Quanto tempo pensiate vi occorra per compiere questo miracolo?”
“Non saprei Signor Rupieri. Sono cose molto delicate. Devo capire quanto lo scorrere del tempo e le ossidazioni abbiano intaccato l’acciaio. A prima vista l’arma mi sembra in buone condizioni. Guardi il cuoio dell’impugnatura. Se non fosse per questa leggera scollatura sarebbe ancora perfetto”
“ Vedo… Penso che vi lascerò una settimana per fare le vostre valutazioni. Arrivederci.”
Senza lasciare possibilità di replica ad Andrea, il basso ometto dai folti baffi, girò le spalle al bancone e riprese la porta immergendosi nel secco freddo dell’inverno montano.
Scosso da una così repentina uscita di scena dell’uomo, Andrea afferrò l’arma e con passo deciso ritornò nella sua amata fucina.
***
L’ora del pranzo era ormai giunta e, come succedeva ormai da dieci anni, Lara entrò nella fucina dalla porta sul retro. Teneva in mano un bel cestino di vimini. Andrea vedendola sorrise. Avvolta com’era nel suo cappotto, col cappuccio ben calcato in testa e il cestino in mano non potè fare a meno di pensare alla piccola cappuccetto rosso che portava il pranzo alla nonna.
“Buongiorno piccolo!” gridò prima di lanciargli le braccia intorno al collo e affondare il viso fra i suoi capelli.
“Ciao amore mio! Com’è andata la giornata a scuola?”
“Meravigliosamente!Oggi abbiamo parlato del mio personaggio storico preferito. Dovevi vedere i bambini com’erano presi. È stato incredibile. Una delle poche volte che non ho dovuto imporre il silenzio neanche una volta!”
“Anche per me è stata una giornata davvero incredibile e sono convinto che ciò che ti mostrerò riempirà di stupore anche il tuo grande cuore.”
“Di cosa si tratta? Dai Dimmelo!” insisteva Lara fissandolo con quei suoi occhietti furbi e pieni di curiosità. Andrea si sentiva sempre indifeso di fronte a quello sguardo. Non vi era nulla da fare. Ogni volta che gli occhi blu di lei gli si posavano addosso in quel modo a lui non rimaneva altro da fare che assecondare le sue richieste.
“Allora! Me lo vuoi dire oppure mi vuoi tenere sulle spine ancora per molto tempo?!”
“Ok hai vinto. Te lo dirò ma ad una sola condizione.”
“Cioè?” rispose lei alzando un sopracciglio e lasciandogli intuire che non sarebbe stato facile raggirarla.
“Che tu mi dia il contenuto di quello splendido cestino!”
Lara rimase un attimo incredula e poi scoppiò in una grossa risata.
“E sia!”
Alzò il panno, che aveva messo per coprire le vivande, rivelando un bel paio di cosciotti di pollo, una pagnotta di pane ancora caldo e una bottiglia di vino rosso.
“Adesso tocca a te! Su fammi vedere questa cosa, a tuo dire, stupefacente!”
Andrea, con già le mani nel cestino, le indicò l’involto che il signor Rupieri gli aveva lasciato invitandola ad aprirlo.
Lara rimase sbigottita. La spada era splendida.
“Incredibile Andrea. Dove l’hai presa?”
“Il signor Rupieri l’ha trovata in uno scavo. Me l’ha portata da restaurare.”
“Ma se è perfetta. La lama è così lucida che mi ci potrei specchiare nonostante la sua brunitura.”
“Avresti dovuto vederla quando mi è stata portata. Lama e fornimento erano leggermente ossidati, così ho iniziato a ripulirli con alcuni solventi che solitamente uso nei restauri. Ero convinto che questo primo trattamento avrebbe tolto solo la ruggine più superficiali dato che l’arma ha più o meno duecentocinquantanni. Invece, come per magia, il solvente ha ripulito l’intera superficie come se l’ossidazione che la ricopriva fosse di appena una ventina d’anni!”
“Incredibile” sussurrò Lara sbigottita.
“Posso prenderla?”
“Certo. Soppesala. Senti che perfetto bilanciamento”.
Lara sollevò l’arma e la fece mulinare sopra di se tirando alcuni fendenti e simulando diverse parate.
“Sorprendente. Veramente un’arma versatile. Sicuramente fu fabbricata per un nobile molto ricco…”
Per un anno intero il maglio colpì ininterrottamente. L’acciaio entrava e usciva dal fuoco e poi dall’acqua. Mani possenti afferravano quel metallo che sarebbe diventato arma. Mani possenti lo modellavano. Le stesse mani, lo stesso cuore ne incideva la lama ormai pronta. Ricamava il fornimento con fili d’oro zecchino e d’argento. Ricopriva l’impugnatura di un cuoio nero come pece. Una voce parlava. Un pensiero fuggiva. Figliolo guarda il capolavoro di tuo padre. Qui è il suo cuore. Qui la sua arte. Qui la sua anima. Il buon Conte ne sarà soddisfatto. Amerà l’arma come io l’amai nel farla. Questo amore ti permetterà di divenire qualcuno mio caro figliolo...
Una mano guantata afferra l’arma. Leggeri delicati i movimenti nel sferrar fendenti; nel soppesare il peso e il bilanciamento. Ben fatto amico mio. Indolenza in quella voce. Non curanza per nessuno. Ti ricompenserò per la tua arte. Ti darò un mondo solo per te così non dovrai farne di più belle. Ti darò il mondo dei Cieli!
Un colpo fendette l’aria. Leggero. Veloce. Incontrastato. Un colpo letale che inondò la lama rendendola cremisi come solo il fuoco o il sangue può fare. Il cuore che creò quel capolavoro si spense. Il corpo che conteneva quel cuore si accasciò. Una sola immagine rimase di quell’attimo.
Gli occhi vacui di un figliolo che mai più diverrà qualcuno se non la stessa vendetta.
“Finalmente ti sei ripresa. Stavo per chiamare il dottore.”
“Andrea che succede? Come mai mi trovo sdraiata a letto?”
“Come, non ricordi?!“
“Stavi provando la spada quando, improvvisamente, ti sei bloccata. Sembrava avessi visto un fantasma. Vedendoti in quello stato ho iniziato a chiamarti. Niente. Non rispondevi. Continuavi a fissare il vuoto. Mi sono avvicinato per scuoterti. Proprio in quel momento hai lasciato cadere la spada e mi hai fissato con occhi vacui. Sembrava che non mi avessi riconosciuto. Subito dopo sei svenuta e ti ho portato in braccio fino al letto. Non ricordi proprio niente?”
“Ricordo solo di aver avuto una strana sensazione. Mi sono trovata al di fuori della fucina. La mia mente è stata come invasa da un flusso di immagini lontane. Ho avuto, per un istante, il sentore di vivere i ricordi di un altro. Ero con lui, ma in realtà non c’ero. Come può essere possibile?”
“Forse è stata l’emozione. Avere un oggetto così antico tra le mani potrebbe avere attivato il tuo subconscio e averti fatto vivere una specie di sogno.”
“E lo svenimento come te lo spieghi?”
“Potrebbe esser stato un semplice mancamento dovuto alla pressione o a un po’ di stress emotivo”.
“Eppure… Sembrava così vivido. Come se fosse accaduto realmente in un qualche luogo del passato”.
“L’importante è che tu stia bene” le sussurro Andrea sfiorandole la fronte con un bacio.
“In ogni caso sarà meglio che tu faccia, ugualmente, una visita al dottore. Tanto per stare più tranquilli.”
Lara sorrise vedendo sul volo di lui i segni della preoccupazione.
“Certo caporale!!!” lo canzonò lei ricambiando il suo bacio.
***
Le mattine invernali erano una delle poche cose che Andrea non amava. Detestava dover abbandonare il suo caldo rifugio notturno tanto quanto dover attraversare la camera, per raggiungere il bagno, in balia di fredde e repentine correnti d’aria che gli riempivano le ossa di freddo. In quelle mattine tutto era avvolto dalla bruma. I raggi del sole combattevano per farsi strada attraverso di essa. Solitamente Andrea si rigirava nel letto un paio di volte prima di uscirne. In quel rotolarsi allungava le braccia in cerca della sua Lara per condividere insieme il risveglio. Quella mattina, con suo grande stupore, Lara si era già alzata. In dieci anni di convivenza Lara non si era mai alzata prima di lui per nessun motivo. Incuriosito da questo strano evento saltò giù dal letto e, infilatosi i pantaloni, iniziò a cercarla per tutta la casa. La cerca fu infruttuosa fino a che Andrea non passò distrattamente davanti ad una finestra della sala. L’apertura dava sul retro dell’abitazione dove vi era un ampio spiazzo lastricato usato dai due per tenere le lezioni di scherma nel periodo estivo. Lara era lì. Si stava prodigando, con la solita grazia e maestria, nel riprendere alcune forme schermistiche. Ripeteva tecniche e guardie in un balletto di estrema eleganza. Andrea rimaneva sempre colpito da quella danza. I movimenti mettevano in risalto non solo le sue qualità atletiche ma anche il suo corpo. I fianchi sinuosi, la vita stretta e il seno pieno trattenuto dalla pettorina blu in nabuk. Quella mattina però Andrea rimase ancora più colpito. C’era qualcosa di diverso in lei.
I suoi movimenti sembravano ancora più veloci e precisi del solito e, la spada nella sua mano, quella di Rupieri, sembrava quasi vivere di vita propria.
Andrea, intrigato dal comportamento della moglie, afferrò una delle spade da allenamento che teneva appese in sala e, aprendo la porta a vetri, si portò velocemente sullo spiazzo.
“Buongiorno passerotto! Ti sei alzata di buon ora stamattina!”
“Già” rispose lei continuando a roteare la lama davanti a se.
“Che ne dice il mio passerotto di incrociar le lame con il sottoscritto?!”
A quelle parole Lara fermò la sua danza.
“Perché no!” Replicò lanciando una vacua occhiata al suo sfidante.
Quello sguardo lasciò Andrea senza fiato. In quegli occhi non vi era niente della sua amata Lara. Erano occhi freddi. Occhi che non guardavano. Occhi che miravano a uno scopo più alto. Più distante.
I due si salutarono e si misero in guardia. Lara portò il suo primo attacco. Una punta al ventre.
Andrea la deviò con una parata a piovere. I due si scambiarono una serie di colpi. Ad ogni colpo Andrea si convinceva sempre più di non star combattendo contro Lara. Tutti i colpi portati dalla ragazza erano di una precisione e di una velocità che non possedeva. Sembrava stesse saggiando il suo avversario con la consapevolezza di essere a lui superiore. All’improvviso Lara attaccò tirando un colpo così violento da aprire la guardia di Andrea poi, ruotando su se stessa, concluse l’attacco con un tondo al volto. Andrea fece appena in tempo a schivare il colpo mortale che riuscì ugualmente a mordergli una guancia.
“Lara che ti prende! Avresti potuto uccidermi!”
“Lo so.”
La sua voce era fredda quasi come l’aria intorno a loro.
“Ma sei impazzita?! Cosa vorrebbe dire che lo sapevi?!”
“So che questa lama assaggerà il tuo sangue e ti darà il mondo dei Cieli.”
Lara si lanciò nuovamente all’attacco vibrando un fendente dall’alto verso il basso.
Andrea velocemente si spostò di lato e, insinuandosi sotto la guardia di lei, fece volteggiare la sua spada nel palmo della mano e la colpì con un movimento ascendente del pomolo nel plesso solare. Lara, con il respiro spezzato da quel colpo, indietreggiò. La spada le scivolò di mano mentre, inginocchiata a terrà, si teneva il ventre con gli occhi pieni di lacrime.
“Andrea aiutami. Che mi succede?! Dimmi che mi sta succedendo!”
Andrea corse da lei e l’abbraccio forte.
“Calmati. Va tutto bene.”
“No non va bene! Stavo per staccarti la testa.”
“Guarda cosa ti ho fatto” disse avvicinando delicatamente la mano alla ferita sulla guancia di lui mentre il suo viso era rigato dalle lacrime che le scendevano copiose dagli occhi.
“È solo un graffio. Non ti preoccupare. Su adesso alzati.”
La sollevò accompagnandola, ancora dolorante, dentro casa dove la fece sedere sulla vecchia poltrona di pelle di suo nonno.
“Asciugati le lacrime. Come va lo stomaco?”
“Meglio grazie.” La voce, ancora tremante e spezzata dal pianto, era tornata nuovamente dolce.
Andrea si era seduto di fronte a lei osservandola mentre con calma si medicava la ferita.
“Non so che mi sia preso” iniziò lei rompendo il silenzio che si era creato fra loro.
“Mi è successo come ieri nella fucina. Mille immagini hanno invaso la mia mente. Una radura circondata dagli alberi. Un ragazzo che si allenava giorno e notte con quella spada” indicò l’arma che ancora stava sul lastricato esterno.
“Poi ho sentito la tua voce e una tremenda forza mi ha invasa. Sentivo freddo. Il freddo che solo la solitudine e l’odio portano. Sentivo di odiarti perché ti frapponevi tra me e il mio scopo. No… non ti frapponevi a me …non capisco caro” pronunciò con voce rotta mentre le lacrime facevano nuovamente capolino sul suo volto.
“Lara devi riposare. Neanch’io capisco cosa sia successo. Forse è semplicemente stress.”
“No ti dico!” Gridò lei.
“C’è dell’altro… o forse qualcun altro. Andrea mi sembra di star vivendo la vita di un’altra persona. Una persona che sta cercando vendetta e che mai si placherà finché non l’avrà ottenuta.”
“Su Lara è solo una tua impressione. Il tuo subconscio ti sta giocando un brutto tiro.”
“Lo dici sempre anche tu. Tuo nonno lo ripeteva in continuazione. Le lame portano sempre al loro interno l’anima e il cuore di chi le ha fabbricate. Spesso anche di coloro che le hanno impugnate per perpetrare grandi scopi.”
“Mio nonno ripeteva sempre quella frase per far capire che anche la lavorazione dell’acciaio è un’arte e come tale richiede sentimento e passione.”
“Io dico che quella spada, in qualche modo, mi sta contaminando.”
“Tu stai delirando. Una spada non può controllare le persone. Semmai è il contrario. Non trovi?!
Adesso smettiamo di fantasticare e dimmi piuttosto come ti senti.”
“Direi bene.”
“Ottimo! Io faccio un salto al pronto soccorso a far controllare la ferita e poi vado alla bottega. Se hai bisogno di qualcosa chiamami. Promettimi che oggi ti prenderai un giorno di riposo completo.”
“Promesso.”
“Ti amo.” Le disse lui arruffandole i capelli.
“Anch’io” rispose lei guardandolo mentre prendeva le chiavi della macchina e usciva di casa lasciandola sola con i suoi pensieri.
***
Dopo l’incidente del mattino la giornata trascorse splendidamente. Al pronto soccorso gli dissero che la ferita era pulita e che sarebbe guarita bene. In bottega erano venuti dei turisti che avevano acquistato alcune delle sue armi per arredare la loro vecchia casa di campagna. Lara non aveva chiamato e Andrea pensò che tutto fosse tornato alla normalità con alcune ore di sano riposo. Stava già pregustando la cena che le avrebbe preparato per farsi perdonare anche se, in cuor suo, Andrea sapeva che non vi era niente da farsi perdonare. Il loro amore era così forte che avrebbe superato ogni ostacolo. Tutti questi pensieri gli attraversarono la testa nel momento stesso in cui chiuse la macchina e infilò la chiave nella toppa di casa. Varcata la soglia però le sue narici non furono colpite da nessuno di quei profumi che accompagnavano le belle e ricche portate che Lara era solita cucinargli. La casa era buia. L’unica luce che illuminava quegli ambienti veniva dai lampioncini da giardino che con tanto amore lui e Lara avevano comprato e installato insieme.
Andrea appoggiò le chiavi in una ciotola d’argento sistemata sul mobile dell’ingresso. Notò che vi erano anche quelle di Lara. Toltosi la giacca decise di salire al piano superiore per raggiungere la camera da letto dove, molto probabilmente, la moglie stava ancora riposando. Il fabbro non aveva mai notato quanto anche la sua casa, piena delle sue cose e così famigliare, potesse essere così tetra. La scala, con la balaustra in legno, sembrava quasi stringerlo, ad ogni passo, contro la parete. I volti nelle fotografie e nei quadri alle pareti non erano altro che tetre ombre. Aloni su fondali del grigio più scuro che si potesse immaginare. Le porte che si affacciavano sul corridoio del piano superiore, appena delineate nell’oscurità, davano l’idea di nascondere un tremendo segreto. Andrea si muoveva con estrema cautela. Con un’inconscia circospezione temendo di poter svegliare la moglie. La porta della loro camera era socchiusa. L’uomo vi scivolò dentro di lato per evitare di farla scricchiolare aprendola. Lara era lì ma al contrario di quello che lui si era immaginato non era sdraiata nel suo letto. La donna si trovava in piedi davanti alla finestra in una immobilità quasi statuaria.
“Lara che stai facendo? Tutto bene tesoro?”
La donna non rispose. Si girò guardando l’uomo con quel suo sguardo vacuo e l’antica spada ben stretta in mano.
Nessuna voce. L’aria è sferzata da fendenti e affondi. Poi come se una magia avesse fermato il mondo tutto tace. Tutto è immoto. La vita riprende solo nel momento in cui esce dal corpo dell’uomo. La vita scorre in quel fluido caldo e rosso che fuoriesce dallo squarcio alla gola. Niente rimorsi. Niente rimpianti. Solo odio. L’odio di una vendetta ormai finita. L’odio che per secoli ha dato forza al suo acciaio. Odio che si è fuso all’amore in eterno racchiuso nella lama del padre. La lama che ha perpetrato la loro vendetta sul buon Conte. Mai più parlerà con voce indolente. La vendetta di un figliolo che mai più diverrà qualcuno se non, eternamente, la stessa vendetta.
“Ecco Commissario” disse Franco passando la spada imbustata dalla scientifica al Commissario Tonelli.
“La donna è già stata fatta portare in centrale. Avete visto i suoi occhi Commissario?
Sembrava impazzita. L’abbiamo trovata nella camera che cullava la testa del marito dopo avergliela staccata dal corpo con quel grosso spadone.”
Il Commissario soppesò l’arma mentre con lo sguardo scorreva la facciata della villetta soffermandosi sulla finestra della camera dei due giovani.
“Sai Franco, conoscevo quei due. Lara e Andrea. Mi sembra impossibile che sia successa una cosa simile a due persone felici e innamorate come loro. Lara era una persona splendida e un’ottima maestra.”
“Commissario non si può mai sapere cosa passa per la testa della gente oggigiorno” ribatte Franco con tono distaccato.
“Conoscevo anche il nonno di Andrea. Lui era solito dire che le lame portano sempre al loro interno l’anima e il cuore di chi le ha fabbricate e a volte di chi le ha impugnate per perpetrare un grande scopo.”
“Commissario… mi sta dicendo che le spade avrebbero un’anima?!”
Il Commissario fissò quell’arma dal luccichio quasi innaturale.
“Potrebbe essere Franco. Tutto è possibile a questo mondo”.
Autore - SIMONE
3 commenti:
Stilisticamente è sicuramente il migliore tra i tre che ho letto (tra questo Gilgamesh e Il volto), anche l'idea mi piace anche se il finale è un po' scontato.
Max
Verso l'inizio del racconto dici che la lama è del secolo VII, poi la descrivi con un guarda mano a cupola.
O hai cannato a scivere la data (VII invece di XVII) o devi cambiare la descrizione della spada.
Per tutto il medio evo ed il rinascimento le spade sono o ad elsa crociata (quelle europee) o scimitarre (fra i mori).
Solo a cavallo a callo del 1600 e 1700 nascono i fioretti, ma con questi non staccheresti neanche la testa ad un topo (sono armi che vanno esclusivante di punta).
Una sciabola del 1800 potrebbe essere corretta, ma in quel scolo erano più che altro decorativi. I duelli si svolgevano con armi da fuoco.
Il racconto è decisamente interessante, anche se il finale è un tatno loffio, ma tiprego correggi lo svarione sulla spada. Vorrai mica sentiriti le invettive di chiunque abbia studiato un po' di storia?
Cacchio! Grazie per avermelo fatto notare il secolo giusto era il XVII!!!
;-)
P.S. GRAZIE PER LA VISITA E IL COMMENTO!
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