13 marzo 2005

Vittoria!

Il bussolotto gira freneticamente. Uno, due, tre giri; rallenta e poi si ferma. La mano della bambina di turno, bendata a simulacro della dea della fortuna, si immerge tra le novanta palline argentate che vi si trovano all’interno. Per sei volte la stessa manovra. Per sei volte una voce chiama i numeri che compongono il codice della fortuna.
Ventisette!
Dodici!
Settantasette!
Due!
Sette!
I Numeri mi rimbalzano nella testa. Penso alla sequenza appena ascoltata. Il mio sguardo passa e ripassa sul tagliandino giocato la sera prima nella tabaccheria sotto casa.
Due...due.
Sette...sette.
Dodici...dodici.
Ventisette...ventisette.
Settantasette...settantasette!

Mi dico di stare stranquillo.Impossibile. Controllo ancora e ancora. Fermo l’immagine nella tv. Controllo ancora una volta. Non ho più dubbi! Ho vinto!

Mi alzo dalla poltrona e inizio a guardarmi attorno. Tutto mi sembra diverso. Mi sento spaesato, ho bisogno d’aria. Mi devo schiarire le idee. La mia vita sta cambiando.
Esco di casa. Passeggio un paio d’ore per una città vuota in una notte silenziosa. Mi sento bene, un uomo nuovo. La mia mente si alleggerisce. Non penso più a quel maledetto lavoro da impiegato che mi stava pian piano divorando. Non penso più al mutuo. Non penso più al quello strozo del mio capo che mi guarda dall’alto al basso solo perchè ricopre un posto di potere. Sento che le idee ritornano. Ritorna la creatività. Ritorna la libertà della gioventù che tanto mi è mancata. Guardo i negozi. Poi un’idea, o meglio una follia. Sorrido al pensiero di ciò che mi è venuto in mente. Più ci penso più mi sento libero. Mi sembra il riscatto di questi anni spesi a conformarmi ad un mondo che non mi appartiene. Un mondo che violenta la mia natura obbligandomi ad una vita insensata. Bene è deciso. Domani mi aspetta una giornata campale!

Sono le nove quando l’Inno alla Gioia mi sveglia e apro gli occhi su questa mattina di cambiamento.
La sera, prima di coricarmi, avevo previdentemente staccato tutti i telefoni. Ero deciso ad essere irrintracciabile almeno per quel giorno e forse anche per altri a venire.
Ancora assonnato mi gettai sotto la doccia e, dopo essermi asciugato, mi infilai una maglietta e un paio di vecchi jeans. Misi in tasca il portafoglio e le chiavi. Inforcai gli occhiali e dopo venti minuti ero già fuori casa.
La banca era a cinquecento metri, in linea d’aria, da dove abitavo. Una piccola filiale di zona con due soli sportelli e altrettanti gentili cassieri. Lasciate le chiavi nella cassetta di sicurezza entrai passando prima per il controllo della bussola. Entrambi gli sportelli erano vuoti quindi scelsi quello della giovane ragazza bionda che, vedendomi avvicirare, si prodigò in un enorme sorriso.
“Buongiorno mi dica.”
“Buongiorno a lei. Mi potrebbe dare il saldo del mio conto.”
“Certamente.”
La ragazza, dalle lunghe e agili dita, battè il numero di conto sulla tastiera e poi scrisse l’importo su di un foglietto che mi passò.
Nel conto c’erano circa diecimila euro. Ottimo pensai, il mio piano può proseguire!
“Mi potrebbe dare quattromila euro?”
“Certo. Come li vuole in tagli da cinquecento e cento euro?”
“Vorrei tre mazzette con venti pezzi da cinquanta e una con dieci pezzi da cento.”
“Perfetto ci vorrà qualche minuto.”
“Non c’è fretta. Faccia pure con comodo.”
La cassiera contò i soldi davanti ai miei occhi. Fece le mazzette, le fasciò e me le mise dentro una busta gialla. Firmai il foglio del prelievo. Salutai e uscii dalla banca contento per aver completato il primo punto del mio piano.
La seconda parte del progetto aveva lo scopo di dare una certa credibilità alla mia persona.
Entrai da Arnaldo Coiffeur, un parrucchiere alla moda, di cui avevo sentito parlare dalle mie colleghe. Il locale era molto minimalista. Tutto sui toni del grigio, con superfici in vetro, poltrone color ghiaccio e una miriade di specchi. Arnaldo, un omino minuto dai capelli corti e dagli occhi chiari, mi accolse come se mi conoscesse da una vita. Mi fece sedere proponendomi una serie di tagli che spaziavano dal punk post moderno al revival anni ’70. Decisi per un taglio classico. Capelli molto corti e all’indietro, e per un’aggiustata a pizzo e baffi. Le mie colleghe in effetti avevano ragione. Uscito da Arnaldo mi vedevo molto meglio. Mi aveva reso un pò più aristocratico.
La mia persona era quasi a posto mancava un bel vestito e qualche accesorio giusto per completare il tutto.
Perchè il mio piano riuscisse dovevo fare le cose in grande e così feci.
In piazza Voltaire c’era uno dei più vecchi, nonchè cari, negozi di abbigliamento sartoriale della città.
“Buongiorno”
“Buongiorno in cosa posso esserle utile?”
“Mi servirebbe un vestito in giacca. All’arrivo all’aereoporto ho scoperto che il mio bagaglio è andato perso e stasera ho un’importante cena d’affari. Il tassista a cui ho chiesto mi ha indirizzato qui da voi dicendomi che, se cercavo qualcosa di speciale, voi eravate il negozio giusto per me.”
“L’ha indirizzata indubbiamente bene. Nel nostro negozio troverà certamente qualcosa di suo gusto. Abbiamo più di cinquecento vestiti.”
Dopo circa un’ora in cui vidi e provai una decina d’abiti corredati di camicie, cravatte e scarpe mi decisi per un abito blu, leggermente gessato in marrone, di fresco di lana, corredato da una camicia azzurra in cotone battista. Le scarpe, bicolor sul marrone e beige, in stile “Old England” . Evitai la cravatta per non sembrare troppo formale e aggiunsi una cappello alla lobbia, delle stesso blu del vestito, per avere ancor di più l’aria eccentrica.
Vedendomi allo specchio del negozio così vestito e con il nuovo taglio di capelli stentavo io stesso a riconoscermi. La magia del vestir bene!
Feci mettere dal negoziante i miei vecchi abiti in un sacchetto e tenni indosso il vestito, le scarpe e il capello. Spostai le mazzette dei soldi dalla busta gialla alle tasche interne della giacca.
Pagai il mio nuovo abito e me ne uscii dal negozio.
Dopo pochi passi vidi un uomo seduto in terra che chiedeva le elemosina.
Lo guardai e senza neanche fermarmi gli lasciai il sacchetto coi miei vecchi vestiti.
Il suo grazie mi raggiuse che ormai ero lontano.
Camminavo con passo sicuro, come se non temessi più di scontrarmi con il mondo esterno.
Non mi sentivo più in balia degli eventi.
Ultima tappa prima di etrare nel vivo del mio progetto, era il negozio di antiquariato “L’Antico pozzo”. Buio come tutti gli antiquari, l’esercizio era gestito da un vecchio signore canuto che emanava lo stesso odore di polvere e lucido per legno di tutti quegli oggetti stipati nella bottega.
“Benvenuto, se ha bisogno mi dica pure” mi sussurò senza alzare gli occhi, incorniciati da spessi occhiali, dal giornale.

Mi diedi un’occhiata attorno già conscio di quello che stavo cercando. Spaziai lo sguardo su vecchie credenze in noce sulle quali erano appoggiati ninnoli di vari tipi in argento e ceramica. Tavolini intagliati, madonne in ebano e lampade in ottone dagli splendidi cappelli in vetro in stile liberty.
Poi finalmente il mio sguardo cadde su una rastrelliera di bastoni. Ne contai dieci Sette coi pomi in argento e tre dagli splendidi pomi in osso. Due in particolare attirarono la mia attenzione. Il primo aveva lo stelo intagliato, sembrava una colonna dorica che finiva, non con un capitello ma, con la testa argentea di un tucano. L’altro dallo stelo liscio e laccato di nero finiva con la testa di un segugio le cui orecchie cadevano lungo il bastone stesso. Soppesai i due oggetti. Entrambi davano l’idea di robustezza e solidità, eppure quello col tucano conquistò i miei favori stuzzicando la mia fantasia.
“Quanto per questo?”
“Centocinquanta euro. Sa è inglese dei primi del ‘900. Viene dall’India”
“Lo prendo, me lo può lucidare?”
“Certo signore. Glielo incarto?”
“No non si disturbi. Penso che un pezzo del genere abbia bisogno di un pò d’aria. Chissa da quanto tempo non fa il suo lavoro!”
“Sicuramente sono almeno trent’anni che non viene usato.”
“Pensi che noia poveretto!”
Preso il mio nuovo bastone da passeggio, ottimamente lucidato dal vecchio antiquario, uscii dal negozio incamminandomi verso la conclusione del mio folle progetto.
Attraversai un vicoletto che sbucava in una grande piazza circondata da quattro grossi palazzi dell’ottocento. Era possibile percorrere il perimetro della piazza anche nei giorni di pioggia senza bagnarsi grazie agli enormi portici siti sotto le quattro costruzioni. Dalla stradina si potevano già intravedere, sotto i porticati, i locali che ospitavano i negozi più belli della città. Quello era il centro nevralgico dello shopping della “gente bene”. Vi erano gioiellerie internazionali, pelliccerie, atelier d’alta moda, gli aperitif bar più trandy e alcuni dei negozi più importanti della città. Sotto quei portici c’era anche il mio obbiettivo ultimo. Sei vetrine ad angolo d’oggettistica d’arredo.
Il negozio era stato ricavato da una specie di chiostro. Al centro del negozio c’era una fontanella che raffigurava una donna nell’atto di versare una brocca d’acqua. Intorno ad essa si disegnava un quadrato di ciotoli e da li prendeva vita la pavimentazione in marmo che ricopriva l’intera superficie dell’immobile. Gli oggetti erano posti ordinatimente all’interno di vetrinette o su scaffali che, a sbalzo, uscivano dalle pareti, dando l’idea di essere un’estensione stessa del muro. Nelle vetrine non vi erano scaffali o mobiletti. Gli oggetti venivano presentati nella loro essenza semplice e splendente. Inseriti in scenografie idilliache nel rispetto del più fine design moderno.
Vi erano due banconi in cristallo posti vicino agli angoli, come ad ammirare l’intero ambiente o ad aspettare, come guardini silenti, i prossimi clienti. La luce che entrava dal chiostro creava splendidi effetti di colore quando si andava a infrangere sulle superfici dei vasi multicolori o dei pregiati cristalli multisfacettati. Dall’esterno sembrava un giardino delle meraviglie. Osservando quel luogo mi sentii in pace e non potei non pensare a come si fosse sentito Lucifero nel Giardino dell’Eden.
Guardai l’orologio e mi accorsi che era ancora presto per compiere l’ultimo atto della mia opera. Decisi quindi di sedermi ad un tavolino del Merilyn, situato proprio difronte al negozio, in attesa del momento propizio.
Arrivò circa verso l’una, quando mi accorsi che il negoziante stava per chiudere per la pausa pranzo.
Mi alzai sistemandomi l’abito. Tastai le tasche interne per accertarmi che le mazzette fossero ancora lì poi, con passo deciso, percorsi la breve strada che mi separava dal mio obbiettivo.
“Buongiorno signore.”
“Buongiorno a voi! Si può ancora o stavate chiudendo?”
“In verità stavamo per andare a pranzo ma possiamo benissimo rimandare a più tardi.”
“Ottima decisione, visto che sono qui per farvi fare un bell’affare.”
Il negoziante non fece niente per nascondere la sua perplessità.
“Sono un ricco nobile di madre inglese. Penso che voi mi possiate aiutare. Vedete questa sera sono stato invitato a cena da una mia cara amica è ho pensato di sorprenderla con un oggetto d’arredo per la sua nuova casa.”
“Siamo a sua completa disposizione Signore.”
“Benissimo perchè io sono molto esigente e amo fare shopping a modo mio.”
Estrassi dalle tasche della giacca le tre mazzette da cinquanta euro e le appoggiai sul bancone lasciando i due a bocca aperta
“Orbene, questi sono tremila euro, vorrei che la sua commessa si mettesse al bancone e tenesse il conto del costo di ogni singolo oggetto e lo sottraesse immediatamente dalle mazzette mentre lei mi mostrerà i suoi pezzi migliori.”
“Come desidera” rispose il negoziate incredulo.
Come da me richiesto mi portò i vasi più cari del suo negozio. Tre pezzi meravigliosi.
“Vorrei, se possibile, vederli alla luce. Potrebbe allinearli vicino alla fontana?”
“Certo signore.”
Servizievole come tutti i commercianti di quella zona che avevano a che fare tutti i giorni con ricchi pedanti e pieni di richieste.
“Ora si che ci siamo. Le dispiacerebbe iniziare a decantarmi le particolarità di ognuno di essi partendo dal meno caro?”
“Certamente. Il vaso alla sua destra, di un intenso blu cobalto ha la classica forma a cratere. La lavorazione è quella del vetro soffiato, un prodotto italiano fatto a Murano una trentina d’anni fa dai maestri vetrai veneziani. Nonostante la sua imponente mole, ben trenta centimetri di diametro, è estremamente leggero, quasi unico nel suo genere. Al suo fianco possiamo ammirare un vaso dalla foggia moderna. Un parallelepipedo, leggermente svasato al centro, dall’altezza di sessanta centimetri. Il pezzo, formato da un doppio strato di cristallo di Boemia, ha uno spessore di mezzo centimetro. Per ultimo ma non per importanza abbiamo un pregiatissimo vaso in cristallo Swarosky .
La sua forma classica è resa particolare dal motivo elicoidale che lo avvolge creando diverse sfacettature sulla sua superficie. Questo tipo di lavorazione è stata scelta per valorizzare la bellezza del cristallo. Infatti la luce che passa attraverso il vaso viene riflessa creando splendidi giochi di luce e colore.”
“Impressionante. La sua spiegazione mi ha fatto innamorare di ognuno di questi vasi. Sarà veramente difficile fare una scelta. Il primo ha veramente un colore splendido e nella sua mastodonticità è di una eleganza incomiabile...Quanto viene?”
“Cinquecento euro”
“Conti cinquecento euro signorina” dissi rivolto alla commessa che, con una certa riluttanza e incomprensione, aprì una mazzetta e ne contò le banconote fino ad arrivare alla cifra stabilita.
Appena la ragazza fini l’operazione appoggiando da parte la mazzetta da cinquecento, mi affiancai al vaso facendo piroettare il bastone che ripresi per il fondo.
“Si molto bello ma a pensarci bene penso che con l’arredo della mia amica non ci stia un granchè. Scartato.”
Con un colpo da fare invidia a Tiger Woods mandai il vaso in frantumi. I pezzi di vetro soffiato di murano volarono in aria per poi ricadere come una leggera pioggia estiva sul pavimento del negozio.
Il negoziante, ripresa la sua postura dopo essersi accartocciato su se stesso per lo spavento, iniziò ad inveire.
“Ma è impazzito?!!”
“Assolutamente no. Il vaso non era adatto e quindi non mi interessava. Passiamo oltre.”
Vidi nel suo sguardo il puro sbigottimento e sentii un sorriso nascermi dentro.
Non volevo dargli il tempo di riprendersi completamente quindi procedetti con il secondo oggetto.
“Questo forse è più adatto. La sua casa nuova è molto moderna quindi le linee semplici di questo vaso le piacerebbero sicuramente. Quanto le devo per questo?”
“Mille euro” mi rispose la timida voce della commessa da dietro il bancone.
“Prenda pure la seconda mazzetta. Sono esattamente mille.”
Dandole appena il tempo di appoggiare nuovamente la mazzetta sul mucchietto precendente e anticipando una lieve reazione del negoziante, come un pendolo che segna l’ora del destino, il pesante becco d’argento del tucano sfondo il doppio strato di vetro di Boemia. Nel tornare nella posizione di partenza il tucano finì la sua opera polverizzando quello che rimaneva del vaso e lasciando nell’aria una scia di frammenti, come una stella cadente che attraversa l’oscurità della notte.
“Mi è venuto in mente che la mia amica odia il cristallo di Boemia!”
“Lei è pazzo! Esca immediatamente di qui o chiamo la Polizia!”
“La Polizia e per quale motivo?! Se ci pensa quei due vasi erano miei e quindi delle mie cose ho il diritto di farci ciò che voglio.”
“Ma non nel mio negozio!”
Il negoziante era completamente paonazzo ed io faticavo a non ridere.
“Si calmi ormai ho deciso prendo quello di Swarosky. Quanto?”
“Millecinquecento euro!”
“Ottimo neanche troppo esoso. Conti pure signorina!”
Il mio mucchietto era finito, mentre quello del negoziante era bello corposo.
Sollevai il vaso e mi avviai al bancone osservando l’ultimo prezioso monile rimasto con interesse.
“Glielo incarto?” chiese la commessa con gli occhi arrossati mentre il negoziante continuava a fissarmi pieno d’ira.
“Ecco cosa mi stavo dimenticando! La mia amica ha una casa molto buia. Neanche questo va bene!”
Lanciai il vaso contro la porta di ingresso. Mai visto niente del genere. Il doglio esplose letteralmente. Per un attimo il negozio fu invaso da milioni di arcobaleni. Polvere di diamanti ecco cosa mi venne in mente in quel momento. Eravamo rimasti tutti sbalorditi chi per un motivo chi per l’altro.
Uscii dal negozio lasciando la ragazza con l’arduo compito di calmare e far riprendere il negoziante che per il disturbo si ritrovò più ricco di altri mille euro.
Attraversando la piazza dopo quella follia mi sentii sempre più felicie. Ero finalmente libero. Rinato. Fui invaso da una gioia smisurata che si sfogò in una fragorosa risata e in una corsa a perdifiato verso casa.
Ve lo immaginate un uomo elegantemente vestito che corre ridendo come un pazzo facendo ruotare il bastone sopra la testa per le strade di una tranquilla città?!

Autore - Simone

3 commenti:

Sara ha detto...

Ah, come rifletti i miei sogni...
(p.s. occhio ai tempi verbali)

Anonimo ha detto...

Divertente, leggero e scorrevole (specialmente le descrizioni che in altri tuoi racconti erano invece un po' pesanti). A parte i tempi, occhio a 'trendy' e 'Swarowski', nemmeno io lo so scrivere ma ho la netta sensazione che ci manchi almeno una 'w'.

Anonimo ha detto...

Coinvolgente e divertente. Quando i sogni di anticonformismo riescono a prendere vita, alimentati dalla fortuna economica, la follia onirica mescolata con la grottesca realtà, dirige il "piano" beffardo del protagonista.