17 aprile 2005

IKEBANA

In quel bar il caffè non è niente male. Nero e forte come piace a me. Lo sorseggio lentamente per non perdere nessuna sfumatura del suo corposo aroma. Intanto osservo il mondo che mi avvolge. Cerco l’ispirazione che da giorni ha abbandonato la mia mente. Dipingere, disegnare, colorare e creare, questo è il mio destino. Eppure sento che tutto mi sta sfuggendo di mano. Come se, una notte, qualcuno, presa una spugna, avesse cancellato tutta la creatività e le idee annotate sulla lavagna del mio Io. Adesso posso solo osservare. Scruto le persone in cerca del loro tesoro pronto a rubarglielo. Guardo le donne. Amo le donne. Amo la loro eleganza. La loro grazia. Il loro essere donna. Ognuna di esse ha in sé qualcosa di divino. Le donne per me sono la quintessenza della sensualità. Almeno così ho sempre creduto. Poi lei se n’è andata portandosi via qualcosa di importante. Qualcosa di mio.
Prendo un altro caffè.
Dopo di lei la magia dei colori è sparita. Tutto è diventato grigio…
Pago la mia consumazione e me ne vado dal bar prima che la malinconia mi sommerga completamente. L’aria fresca della mattina mi accarezza il viso. Cammino per le strade come uno zombie curioso. Spento ma non del tutto. Un gruppo di ragazze mi passa affianco. Ridono allegre e spensierate. Le giovani gambe si protendono da corte minigonne sfrangiate. Mani ben curate gesticolano a mostrare, in un complesso linguaggio non verbale, l’enfasi della conversazione. Sguardi intensi di chi sta scoprendo la vita si fanno strada attraverso le lunghe ciglia. La loro voce mi riporta alla vita. Sento un piccolo arcobaleno che pulsa nel mio cuore. Per un attimo ripercepisco i colori. Sorrido. Lo zombie è morto, rimane solo la curiosità per il futuro. Continuo a camminare finché non mi arresto all’improvviso. Respiro profondamente un dolce profumo già sentito. Fiori. Mi avvicino incuriosito. Sono anni che non compro fiori. Anni che non mi fermo ad osservarli.
Il bancone ne è stracolmo. Rose vellutate, tulipani multicolore, candidi e semplici lilium.
Tutti bellissimi e puri. Le orchidee, però, calamitano la mia attenzione. Quelle esposte dalla fioraia sono bianche. La loro forma mi cattura trasportandomi in un dedalo di sensazioni dimenticate. Ne acquisto un mazzo.
Arrivato a casa le immergo in un vaso. La luce che entra dalla finestra le illumina, rendendole quasi irreali. Resto un’ora immobile sulla poltrona ad ammirarle con in mano la tavolozza dei colori. Il mio sguardo si sposta dai colori ai fiori, fino a che l’ispirazione non invade la mia mente lasciandomi senza fiato. L’ansia si impadronisce del mio corpo. Apro l’agendina con i numeri delle modelle a cui solitamente ricorro. Spiego frettolosamente al telefono l’entità dell’opera che intendo creare. Le prime due si negano, la terza della lista, incuriosita, accetta. La ricordo bene Ryoko. Con la sua siluette slanciata e il seno non più grande di una coppa di champagne. Lunghi capelli neri e labbra sottili e delicate. Occhi verdi come smeraldi. Arriva un po’ trafelata a causa della mia telefonata. Ancora più bella di quanto potessi sperare.
La faccio sedere sul divanetto circolare dove sono solito immortalare le mie modelle. Le rispiego l’iter dell’opera sottolineando che ci saranno da rispettare due regole fondamentali. dovrà rimanere bendata per tutto il tempo e dovrà lasciarsi guidare da me. Lei, guance rosse come il fuoco, accetta senza pensarci. Le dico di spogliarsi completamente, tenendo però i sandali dai lunghi tacchi con cui è arrivata. Perfetta, nella sua nudità, come la ricordavo, si benda con la fascia di raso nero che le ho preparato. La faccio sedere sul bordo del sofà facendole appoggiare le palme delle mani all’indietro sulla superficie di pelle bianca. Delicatamente le allargo le ginocchia portando alla luce la sua sacra alcova. Stendo un po’ di schiuma da barba sul pelo leggermente folto. Le sussurro di rimanere ferma. Il rasoio, passando delicatamente, porta via con sé strisce di bianca crema, rivelando il liscio candore della pelle.
Aspetto alcuni attimi per evitare che la pelle si irriti. Nell’attesa le accarezzo le gambe fino ad arrivare alle caviglie sottili, impreziosite da un fine bracialettino d’argento. Affascinato da questo dettaglio non posso fare a meno di pensare che il bello della vita stia fondamentalmente in quei particolari che la rendono così variegata. Stringo gentilmente Ryoko per i fianchi e la faccio lievemente indietreggiare, in modo da farle appoggiare i tacchi sul bordo della poltrona. Afferro il pennello inumidito e lo intingo nel nero. Con pazienza delineo sul suo inguine cinque grossi petali. Uno centrale e gli altri a raggera intorno al sesso di Ryoko. I sepali posti sotto gli ultimi petali si estendono verso il virgineo ano. Immergo un nuovo pennello in un blu pervinca. Con pennellate ferme e decise riempio le aree delimitate dai contorni. Inizio dall’esterno avvicinandomi sempre più alle labbra e al clitoride. Ryoko inizia a sussultare. Prima leggermente. Quasi di riso, come se il le spatole la solleticassero. La sento, chino su di lei, che sospira di piacere quando le setole del pennello ormai prive di colore la sfiorano. Ricopro attentamente ogni millimetro di pelle. La tocco creandomi gli spazi per dipingere. Sento le dita bagnarsi del suo piacere. Ricambio pennello. Questo è più sottile. Prima di immergerlo nel bianco le stuzzico il pube col morbido ciuffo. Non voglio che si rilassi. Inizio a sfumare il blu con colpi di nero e bianco. Creo ombre e luci. Cerco di dare vita a qualcosa che ne è già piena. Il pennello si muove fluido. Sfugge delicatamente sui bordi. Si sofferma con maggior forza all’interno. Nel suo moto mescola colori sensazioni e passioni. Quest’arte così vera, così reale mi eccita. Vedo il clitoride di Ryoko gonfio e palpitante: come palpitante è il suo ventre. Le sue mani stese lungo i fianchi sono impazienti di toccare il fiore da me creato. Gli ultimi colpi di pennello si susseguono freneticamente ritmati da sussurrati sospiri. Finisco di dipingere. Osservo la mia opera. Mi lascio travolgere da ciò che sento e vedo. Senza toccare il colore, ancora fresco, appoggio la mia lingua sul suo sesso. Lo succhio. Ne assaporo il caldo polline. Le mie mani armeggiano sui cinturini dei saldali. Li slaccio e glieli sfilo. Come se avesse intuito Ryoko stringe il mio membro turgido fra le piante dei piedi. Delicatamente li muove sfiorandomi leggermente il glande. L’immagine di un fiore dal lungo stelo che danza nel vento mi riempie la testa. Silenziosamente vengo gettando la mia essenza sui quei petali appena nati. La mia mente si libera realizzando la magnificenza della creazione.

AUTORE - SIMONE

5 commenti:

Eliselle ha detto...

Beh, GRAZIE :)

La seconda parte del racconto è molto intrigante.

Un mix di feticismi vari, insomma: proprio un bel mix :D

Anonimo ha detto...

Bello e conturbante, vagamente dannunziano.

Sara ha detto...

Bella l'idea, belle le immagini, bella la scelta del titolo :)

Anonimo ha detto...

Sicuramente il mio preferito tra i tre che hai postato.
Allo slacciamento sandali ho rischiato li coccolone.

Anonimo ha detto...

Bello!
Voluttuoso come toccare il velluto
Non volgare, intrigante, vogliosa e sensuale.
Qulache particolare l'ho trovado ridondante... qualcosa di manieristico
Se non avessi avuto questa sensazione avrei volato, mi sarei fatta trasportare completamente